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 2015  luglio 02 Giovedì calendario

COSI’ MANGIAVANO GLI ANTICHI ROMANI

«Nessuno ricorda che l’Italia ha bisogno di risorse esterne e che la vita del popolo romano è esposta ogni giorno alle incertezze del mare e delle tempeste!». Così Tiberio fustigava in senato i lussi e gli sperperi di Roma, ricordando che gli alimenti necessari alla sopravvivenza dei cittadini arrivavano in gran parte dai paesi d’oltremare. Questa prima «globalizzazione dei consumi» avvenne nell’arco di tempo che va da Augusto a Costantino, tra il 27 avanti Cristo e il 337 d.C. Roma era diventata una metropoli di circa un milione di abitanti: nessuna città raggiunse più questa grandezza fino alle soglie della rivoluzione industriale. Come e che cosa mangiava la popolazione sterminata dell’Urbe’ In che modo si trasportavano migliaia di tonnellate di provviste dai più remoti angoli dell’impero’ Come venivano conservate e distribuite. Chi volesse sapere tutto sul cibo dei romani di duemila anni fa, può trovare le risposte nella mostra «Nutrire l’Impero. Storie di alimentazione da Roma a Pompei», inaugurata ieri pomeriggio al Museo dell’Ara Pacis, dove proseguirà fino al 15 novembre. Ideata in occasione di Milano Expo 2015, promossa dalla soprintendenza capitolina in collaborazione con quella di Pompei, curata da Claudio Parisi Presicce e Orietta Rossini, la rassegna presenta un viaggio completo intorno al cibo. Il visitatore lo percorre attraverso reperti archeologici, apparati multimediali, plastici, ricostruzioni. Si parte da una grande carta del Mediterraneo realizzata con tecnica cinematografica, dove si animano i principali flussi dei beni a lunga conservazione, trasportati via mare su grandi navi: il grano da Africa ed Egitto, il vino da Gallia, Creta e Cipro, l’olio dall’odierna Andalusia, il miele dalla Grecia, il garum, onnipresente condimento a base di pesce, da Africa, Medio Oriente, Portogallo, Pompei. Si leggono antiche iscrizioni che spiegano come la distribuzione di questo cibo fosse compito dell’imperatore, e che una gran quantità spettava di diritto al «popolo dominante», una massa di duecentomila beneficiari, che oggi si direbbero sotto la soglia della povertà e che per questo ricevevano ogni mese circa trentacinque chili di frumento a testa, oltre a carne e vino. Si osservano le pentole con cui i prodotti venivano cucinati, i sontuosi servizi da tavola in argento che arredavano la tavola dei ricchi, le coppe di vetro per il vino, i dipinti che raffigurano le cene in triclinio, i negozietti dove si vendeva il cibo di strada. Una sezione specifica è riservata agli alimenti ritrovati carbonizzati a Pompei ed Ercolano, dalle pagnotte di farro ai legumi. In un angolo, i resti di una «larva convivialis», lo scheletrino da tavola che richiama quello presentato, insieme al vino, da Trimalcione ai suoi convitati: «Così saremo tutti, dopo che la morte ci rapirà. Perciò godiamocela, finché possiamo».
Lauretta Colonnelli