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 2015  giugno 14 Domenica calendario

IL MUSEO COLONIALE TRA OLIO DI RICINO E UN TESORO SPARITO

Il titolo evoca scenari esotici e tragicomici: «Il Museo Coloniale di Roma (1904-1971). Fra le zebre nel paese dell’olio di ricino». Ma la vicenda che l’archeologa Francesca Gandolfo racconta in questo libro edito da Gangemi potrebbe anche essere quella di un romanzo d’avventura, con l’immancabile topos del tesoro scomparso. E invece la storia è tutta vera, riesumata dalla studiosa tra i documenti di vari archivi, romani e fiorentini. Protagonista, il Museo Coloniale di Roma. Comincia nel 1904, quando il botanico Romualdo Pirotta crea in via Panisperna 89b l’Erbario e Museo Coloniale. Nel solco della tradizione rinascimentale, che intreccia la storia naturale con quella dell’uomo, Pirotta vi raccoglie piante e manufatti provenienti dalle colonie italiane in Africa. Ma già nel 1914 l’Erbario fu trasferito a Firenze e gli oggetti del Museo, chiusi in casse, vennero depositati tra il Palazzo delle Esposizioni e il ministero delle Colonie, istituito nel 1912 e alloggiato in due appartamenti del principe Odescalchi, in via del Corso e in piazza Santi Apostoli. Nel 1923 i giornali parlarono del Museo Coloniale risorto in una palazzina di via Aldrovandi 16a e inaugurato da Mussolini e dall’allora ministro delle Colonie Luigi Federzoni. Fu in questa occasione che il «Popolo d’Italia» scrisse di «zebre nel paese dell’olio di ricino». Il Ricinus communis era considerato dal regime una pianta dal valore autarchico, utilizzata nell’industria tessile, farmaceutica, cosmetica e nella produzione di lubrificante per aerei militari. Tristemente famosa per il suo olio, impiegato dai fascisti come strumento di tortura. Il Museo Coloniale sopravvisse fino al 1971. Poi venne chiuso. Le raccolte confluirono prima nel Museo d’arte orientale di via Merulana e, nel 2011, nel Museo «Luigi Pigorini» all’Eur. Nella sede di via Aldrovandi occupavano trentacinque sale. Si elencavano dodicimila cimeli e un tesoro: il tesoro archeologico della Libia, trasferito in Italia nel 1942 dall’ex soprintendente Gennaro Pesce. Nell’ultimo inventario, registrato nel 2000, gli oggetti si sono ridotti inspiegabilmente a 10.510. E il tesoro risulta scomparso. Il 25 maggio 2011, dal caveau della Banca Nazionale Commerciale di Bengasi viene rubato il tesoro archeologico di Bengasi. «Con ogni probabilità ‘ sostiene Gandolfo - è lo stesso Tesoro archeologico della Libia messo al sicuro da Gennaro Pesce. La sua sorte è ancor oggi un mistero».
Lauretta Colonnelli