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 2015  giugno 08 Lunedì calendario

OREFICERIA SACRA, I TESORI DEL LAZIO

Dice un antico proverbio indiano, che il cardinale Gianfranco Ravasi ama citare quando parla di arte: «Se hai due pagnotte di pane, regalane una a un povero. Poi prendi l’altra pagnotta, vendila, e con il ricavato compra un giacinto da regalare allo stesso povero». Perché l’umanità, oltre che di pane, ha fame di bellezza. Ci fu un tempo in cui la bellezza venne profusa a piene mani anche nelle chiese più sperdute d’Italia. Persino la più umile parrocchia rurale aveva un suo tesoro, da mostrare ai fedeli durante la processione del santo patrono, per le feste grandi, per le occasioni d’emergenza come terremoti e siccità, quando un reliquario finemente scolpito veniva esposto con la speranza che fermasse la calamità. Tesori che oggi continuano a restare segreti, custoditi nel chiuso di sacrestie, confraternite, conventi. Ogni regione ha il suo patrimonio di arte sacra. Quello del Lazio si può ammirare nella mostra «Sculture preziose. Oreficeria sacra nel Lazio dal XIII al XVIII secolo», aperta fino al 30 giugno nel Braccio di Carlo Magno in Vaticano. Curata da Anna Imponente e Benedetta Montevecchi, presenta antiche sculture in argento, bronzo e rame dorati, con gemme incastonate. Provengono dalle raccolte diocesane e da istituti religiosi. Sono opere sopravvissute alle spoliazioni perpetrate attraverso i secoli, dalle truppe di Ladislao di Durazzo re di Napoli a quelle di Carlo V, dai saccheggi dei Francesi nel 1790 ai disastri dell’ultima guerra, fino ai furti della malavita comune. Alcuni sono stati fortunosamente recuperati, come il berniniano busto d’argento del Salvatore, custodito nella chiesa di Collepardo in provincia di Frosinone. Trafugato qualche anno fa e poi abbandonato tra gli sterpi fuori dell’abitato, venne ritrovato grazie al brillio del metallo. Le 126 opere esposte sono state selezionate tra le migliaia del territorio, alla fine di un lavoro di catalogazione voluto dalla Soprintendenza regionale dei Beni artistici e dal direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci. Tra i pezzi importanti, il busto di san Bernardino da Siena, in argento sbalzato e con il volto dolente. Fu una delle ultime opere di Luigi Valadier, prima del suicidio nel Tevere, nel 1785. La mostra vuole essere anche una sorta di monito verso «l’ordinaria bruttezza delle chiese di nuova costruzione», come avverte Paolucci: «Dentro quelle chiese è facile imbattersi in arredi di altrettanta irrimediabile bruttezza».
Lauretta Colonnelli