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 2015  maggio 29 Venerdì calendario

IL NERO ABBAGLIANTE DI TOMMASO OTTIERI

Qual è la funzione del nero’ Per Tommaso Ottieri, quella di definire la luce: «Quando la vita è cominciata sul pianeta la luce non c’era. O, meglio, non c’era la visione di essa. Per poterla distinguere dall’oscurità occorre che il nero venga lasciato indietro, e resti soltanto tutto attorno». Architetto 35enne trasformato in artista, Ottieri ha intitolato «La funzione del nero» la sua mostra, aperta fino a domani presso la Galleria Russo (via Alibert, 20). Curata da Marco Di Capua, presenta una sessantina di opere in cui le città, i teatri, le chiese, i palazzi, le strade, i cortili sono ritratti di notte. Ottieri usa un colore scuro, ottenuto mescolando il nero fumo e il nero d’avorio a una lacca violacea trasparente. Il risultato, sulla tavola, è di un nero abbagliante, come quello che si vede di notte dall’aereo o nelle immagini satellitari della Terra, con le città risplendono come gioielli d’oro fuso incastonati tra il velluto scuro del cielo e il buio compatto dei continenti. Quello di Ottieri è il nero brillante, il «niger» latino, che fin dall’antichità si distingueva dall’«ater», il nero opaco, infausto, che evoca la morte e l’inferno. In mezzo a questo nero brillante, Ottieri fa scorrere fiumi di luce, in giallo ocra. Ottiene così immagini sontuose, in cui si sente l’eco dei bruni palpitanti di Rembrandt. E, anche nelle tavole di piccolo formato, le vedute di città si dilatano fino a diventare sterminate. «Ho imparato a conoscere gli umori, gli effluvi e quanto di organico le città possono produrre. E so che una materia organica le ha formate: quello che mangiano gli operai che le costruiscono, quello che gettano via i cantieri che le modificano, le pietre, i legni, i metalli che si corroderanno. Persino il vetro mi dà l’idea di essere caldo per la luce che riflette. La vita dell’uomo, con la sua forza per tenersi in piedi, è l’unico argomento che tratto da sempre. E, per quel che ho capito, è l’unica cosa che mantiene in vita una città». Anche se di uomini, nei suoi quadri, non c’è traccia. Deserti i teatri, le strade, le chiese, i ponti. Dice, Ottieri, che dipingendo queste scene ha imparato che «se una bellezza esiste, essa è sempre nell’insieme delle cose. Le belle e le brutte, le chiare e le scure».
Lauretta Colonnelli