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 2015  agosto 09 Domenica calendario

QUEI RITI FUNERARI PER COMPRENDERE LA ROMA ANTICA

Oggi nessuno legge più «Le notti romane al sepolcro degli Scipioni» di Alessandro Verri, milanese che visse a Roma nella seconda metà del Settecento. Ma all’epoca il volume fu un best seller. Pubblicato nel 1782, ne furono stampate decine di edizioni, traduzioni, imitazioni. Si diceva che persino il Papa ne tenesse una copia sul comodino. Verri aveva preso spunto, per il suo racconto, dal ritrovamento del cosiddetto sepolcro degli Scipioni, avvenuto nel 1780 durante gli scavi per la costruzione di una cantina nei pressi della Porta di San Sebastiano. Era rimasto colpito dall’assalto dei curiosi, uomini e donne, che pur di accaparrarsi un souvenir frantumavano sotto le scarpe le ossa degli eroi repubblicani: Scipione Africano Maggiore, vincitore su Annibale nella seconda guerra punica; Scipione Emiliano, trionfatore nella terza guerra punica con la distruzione di Cartagine; Cornelia madre dei Gracchi. E immaginò di accompagnare questi antenati illustri in giro per la città. Un po’ come facevano gli antichi romani durante i funerali di un uomo in vista. Le maschere di cera, ricavate dal volto dei defunti della famiglia e conservate negli armadi di casa, venivano fatte indossare a figuranti che accompagnavano il morto prima al Foro e poi verso la sepoltura. Racconta Plinio: «Sempre ogni defunto aveva presso di sé tutto il popolo della sua famiglia, quello che in ogni tempo era venuto al mondo prima di lui». Si parlerà anche di questi riti nel convegno «Antropologia e archeologia a confronto», curato da Valentino Nizzo e dedicato alle cerimonie funebri nelle società antiche. Il convegno, che si snoda dal 20 al 22 maggio tra l’ École française de Rome e lo stadio di Domiziano e vedrà impegnati una decina di studiosi da tutto il mondo, è organizzato nell’ambito del sesto Salone dell’editoria archeologica, voluto da Fondazione Dià Cultura con la collaborazione di Forma Urbis. Cinque giorni, dal 20 al 24 maggio, di un programma intenso, allestito nella cornice straordinaria dei resti dello stadio di Domiziano, sui quali fu poi disegnata piazza Navona. Ci saranno novità editoriali sul tema dell’archeologia, incontri con gli autori, letture, lezioni, piccole performance, un concorso di poesia. È prevista una mostra di libri antichi dalle collezioni del Fondo antico della biblioteca del Coni, con reperti recuperati dal Gruppo di tutela del patrimonio archeologico della Guardia di Finanza. Sarà un’occasione anche per visitare le imponenti rovine della curva nord dello Stadio, riaperto di recente al pubblico dopo anni di restauro. Costruito da Domiziano intorno all’86 d. C., poteva accogliere fino a trentamila spettatori, con una pista lunga 240 metri e larga 65. Oggi piazza Navona occupa esattamente questo spazio, mentre tutti gli edifici che vi si affacciano poggiano le loro fondamenta sulle rovine delle gradinate. Fu anche il primo edificio a uso sportivo in muratura costruito a Roma. Stadio e non circo: la pista di un circo era divisa in due per permettere le corse dei carri, lo stadio aveva un’unica pista ed era destinato alle gare ginniche, corsa, lotta, pugilato. Domiziano morì in una congiura dieci anni dopo averlo costruito. E non ebbe le onoranze funebri a cui avrebbe avuto diritto, dato che fu il terzo imperatore della Gens Flavia, una delle più illustri dell’epoca. Venne ucciso con sette coltellate. Il suo cadavere fu trasportato in una bara comune dai becchini e consegnato alla nutrice Fillide. La condanna peggiore arrivò dal Senato, che ne decretò la «damnatio memoriae», ordinando la distruzione delle sue statue e dei suoi ritratti e la cancellazione del suo nome da ogni iscrizione.
Lauretta Colonnelli