Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 05/05/2015, 5 maggio 2015
STAINO, QUANDO I SOGNI FINISCONO IN SATIRA
Dice, Sergio Staino, che senza sogni la satira rischia di diventare cattiva, rancorosa: «Se non ho un grande sogno dentro di me, non riesco neppure a fare satira. Sogno di essere felice, di vivere in un mondo più giusto, di stare bene insieme agli altri. Sogno anche sogni erotici. Tutti questi sogni mi aiutano a tenere i piedi per terra. Nasce da qui la satira, la denuncia ironica, o arrabbiata, e a volte anche dolente». Per questo ha voluto che la grande mostra antologica, che si inaugura oggi alle 18 negli spazi della Pelanda in piazza Orazio Giustiniani 4, fosse intitolata «Satira&Sogni». Curata da Maurizio Boldrini e Claudio Caprara, organizzata da Zètema, promossa dall’assessorato capitolino alla Cultura e dalla soprintendenza ai Beni culturali, presenta oltre trecento opere, tra disegni, acquerelli e lavori digitali che Staino ha creato in oltre trentacinque anni di carriera. Cominciò nel 1979 sulle pagine di «Linus», creando la propria famiglia di carta: Bobo, la moglie Bibi, i figli Ilaria e Michele. Attraverso di loro ha raccontato un pezzo di storia d’Italia, passando per le pagine di vari giornali e cimentandosi anche come regista, scrittore, scenografo, promotore culturale. La mostra ripropone l’universo di Staino in modo tale che il visitatore vi si ritrova immerso fin dall’inizio del percorso. All’ingresso dell’ex mattatoio sfila un lungo e variopinto corteo dei suoi personaggi a grandezza naturale. Negli spazi interni compaiono i grandi busti dei protagonisti della vita politica e istituzionale italiana negli ultimi trent’anni, narrati con strisce, alcune delle quali esposte per la prima volta in Italia. Si incontra la vita di Bobo, alter ego del disegnatore, attraversata da amici, migranti, preti, creature fantastiche e animali di ogni genere. Ci si trova improvvisamente davanti ai due grandi fondali del Teatro Ariston di Sanremo, disegnati da Staino per le edizioni del Premio Tenco del 2006 e 2007. E a uno schermo, circondato dai disegni di «Lasciami cantare una canzone», sul quale scorrono le immagini e le musiche di Gaber, De André, Guccini e altri cantautori amati dal cartoonist. Si arriva alle opere più recenti, che mescolano la tecnica dell’acquarello con quella digitale. Spiega: «Prima con la penna a china disegno alcune parti sommarie dell’immagine, poi le coloro ad acquarello. Alla fine scannerizzo tutto e passo al lavoro di rifinitura disegnando sul touch screen i particolari più minuti e correggendo quelli che non mi convincono. Vengono fuori ibridi d’autore, dei quali naturalmente non esistono originali». Ha dedicato il catalogo della mostra a Georges Wolinski, suo amico fraterno, morto nella strage di «Charlie Hebdo». A chi gli chiede la sua posizione nel Pd risponde: «Tra la padella e la brace».
Lauretta Colonnelli