Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 19/04/2015, 19 aprile 2015
STORIA E LEGGENDA DALLE SACRE SCRITTURE A TREBISONDA
Si incontrano città come Trebisonda, legate talmente a un modo di dire da apparire inverosimili nella realtà. Invece la città esiste, e da tempi antichissimi: fondata sulle coste del Mar Nero, nell’ottavo secolo avanti Cristo, dai Greci di Mileto; saccheggiata dai Goti nel 258; importante snodo commerciale sotto l’impero romano d’Oriente; capitale dell’impero di Trebisonda fino al 1461 quando venne conquistata dall’impero ottomano e le sue chiese furono trasformate in moschee. Il modo di dire «perdere la Trebisonda» deriva dal fatto che anticamente la città era un importantissimo punto di riferimento visivo per le navi che transitavano nel Mar Nero e rischiavano di naufragare quando perdevano questo riferimento. Ci sono anche le miniature del Vangelo di Trebisonda nella mostra «Armenia, il Popolo dell’Arca», aperta fino al 3 maggio nel Salone Centrale del Vittoriano, con ingresso gratuito. E c’è il più antico manoscritto armeno miniato, appartenuto alla regina Mlke, moglie del re Gagik Artzruni del Vaspurakan, vissuta tra 908 e il 921. E poi la storia del monaco Mesrop Mashtots, che intorno al 400 dopo Cristo inventò un nuovo alfabeto per adattarlo alla lingua parlata dal suo popolo e vi tradusse le Sacre Scritture. Ci sono i modellini medioevali di chiese in pietra. E sculture, arredi liturgici, manoscritti, fotografie. Si esplora, attraverso questi manufatti, la ricca cultura armena, una delle più floride al mondo, che affonda le sue radici nella tradizione biblica del diluvio universale, simbolo di rinascita e di nuova vita. È proprio sulle pendici dell’Ararat, sulla cui cima si era arenata l’Arca di Noè, che si formò il popolo armeno. E il suo paese fu il primo ad adottare, nel 301, il cristianesimo come religione di Stato. La mostra, curata dall’Unione Armeni d’Italia e realizzata da Comunicare Organizzando, mette in rilievo anche gli stretti legami tra l’Armenia e la penisola italiana. Venti secoli di contaminazioni culturali: dalla prunus armeniaca, l’albicocca, portata una prima volta in Italia da Silla al suo ritorno dalla guerra contro Mitridate VI e poi di nuovo dai crociati, fino agli ideali del Rinascimento che raggiunsero il lontano paese bagnato dal Mar Nero. E al viaggio del giovane monaco Mechitar di Sebaste che nel 1715 sbarcò a Venezia con dodici confratelli e trasformò in convento l’intera isola di San Lazzaro.
Lauretta Colonnelli