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 2015  agosto 09 Domenica calendario

CAMBIA

il vertice Rai e siamo a una nuova puntata di “Renzi e le nomine”: per i critici, l’ennesima infornata di amici e conoscenti; per il Premier, “i nomi migliori”. Il problema, tralasciando la Rai che è propaggine della politica più che azienda (67% dei ricavi sono garantiti dal canone, che per il 90% serve ad acquisire beni e servizi all’esterno, pur pagando 900 milioni di stipendi) non sono i nomi degli amministratori, ma gli obiettivi che lo Stato azionista assegna loro.
Lo Stato ha partecipazioni di controllo in società che operano sul mercato in regime di concorrenza, o regolate da Autorità indipendenti, quasi tutte quotate, spesso con la maggioranza del capitale in Borsa. All’azionista di controllo, specie se pubblico, spetta indicare agli amministratori la governance migliore. In pratica: un rendimento del capitale adeguato; trasparenza nella comunicazione dei risultati; la tutela degli interessi dei soci di minoranza; il rispetto delle regole; acquisizioni che non siano dettate da voglie d’impero; la capacità di generare cassa; e l’equilibrio finanziario. In realtà, è l’opposto.
Lo Stato azionista non è sinonimo di comunicazione trasparente: nel 2013 la Saipem (gruppo Eni) annuncia a sorpresa perdite record in un bilancio che poi verrà impugnato dalla Consob. Da allora le perdite hanno continuato ad accumularsi, il titolo ha perso complessivamente l’80%, e oggi l’azienda è anche al centro di una vicenda di corruzione internazionale. La storia si ripete con la semestrale 2015 di Trevi, dove il Fondo Strategico della Cassa DDPP è azionista stabile insieme alla famiglia Trevisani: comunica a sorpresa che di lì a un mese non avrebbe rispettato la scadenza di una commessa, con penali che porteranno l’azienda in perdita. E in una settimana il titolo perde il 30%.
Come la sua controllata Saipem, anche Eni è coinvolta in fatti di corruzione. Deve ancora trovare il modo di guadagnare stabilmente nella raffinazione e vendita gas. E comunica un piano triennale che prevede il petrolio a 70 euro nel 2016 (90 nel 2018), nonostante gli attuali 48. L’utile operativo è crollato del 60% nel primo semestre, nonostante il dollaro si sia apprezzato del 19%. Secondo il sito Eni, il titolo avrebbe fatto meglio dei concorrenti da inizio anno; dalla nomina del nuovo vertice però, e calcolato in euro, ha fatto peggio di tutti (tranne Repsol).
Enel è stato un esempio di politica “imperialista”: compra Endesa a condizioni onerose (la put ad Acciona); centrali in Slovacchia; fa compravendite non molto trasparenti in Russia; e accumula debiti fino a 59 miliardi. Un fardello da smaltire che ha pesato sul titolo: da allora ha fatto 33% peggio dell’indice europeo di settore.
Finmeccanica è un concentrato di acquisizioni strapagate, indebitamento eccessivo, comunicazione oscura e corruzione. Ceduti finalmente energia e trasporti con almeno 15 anni di ritardo, la liquidità della gestione operativa non riesce ancora a coprire gli investimenti fissi, e ci si interroga sul destino degli investimenti nella difesa Usa (Drs). Il Premier si compiace che il titolo è raddoppiato in un anno, ma da inizio crisi (2008) Finmeccanica ha perso il 60% rispetto all’indice europeo di settore: un po’ presto per festeggiare.
STMicroelectronics (controllata dallo Stato insieme al Fondo Strategico francese) doveva essere il modello di politica industriale nella tecnologia: da quattro anni però, in pieno boom tecnologico, è in costante perdita, prima delle imposte e gli interessi. E dall’annuncio dei risultati in aprile ha perso un quarto del valore in Borsa. Ma non se ne parla: perché?
L’ultima volta che lo Stato è sbarcato in Borsa con Renzi premier (Fincantieri) ha sbagliato condizioni e tempistica: nonostante abbia ridotto di un terzo le azioni offerte, il titolo ha perso il 18% nel primo mese, e viaggia ancora a rimorchio dell’indice.
Prevedo l’obiezione: tutto questo è frutto delle nomine del passato, ma oggi è diverso perché i nomi di Renzi sono “i migliori”. Un vecchio ritornello che ascoltiamo da vent’anni. Se non si dichiarano chiaramente gli obiettivi da perseguire con le aziende di Stato, le nomine del premier di turno saranno sempre le migliori. E in assenza di obiettivi chiari e verificabili che giustifichino il controllo pubblico, le nomine continueranno a essere l’unica vera ragione d’essere dello Stato azionista.