Leonardo Martinelli, La Stampa 8/8/2015, 8 agosto 2015
DIOR E LE GONNE: IL NEW LOOK IN 12 METRI DI STOFFA
Il termometro andò giù fino a tredici gradi sotto zero quella mattina del 12 febbraio 1947. A Parigi, appuntamento alle dieci e mezzo al 30 di avenue de Montaigne, per la prima sfilata di un certo Dior.
Nei corridoi di quel palazzotto antico, perfino sulle scale si ammassarono gli amici di Christian (che aveva già 42 anni, nonostante fosse al suo debutto come stilista indipendente), i giornalisti e tanti buyers, soprattutto americani.
Il décalage di successo
Le foto dell’epoca riflettono l’immediato décalage che si creò fra il look degli astanti e i vestiti indossati dalle modelle : quei tailleur dal vitino di vespa, che poi imperverseranno negli Anni 50. Alla fine, Carmel Snow, di «Harper’s Bazaar», si avvicinò a Monsieur Dior, un dandy di classe ma riservato, autentico prototipo dell’alta borghesia francese che fu, e gli disse : «Dear Christian, your dresses have such a new look!».
Il mitico New Look
Sembrerà pura aneddotica ma non lo è. La collezione di Dior per l’estate 1947, passata alla storia proprio come New Look, segnò la storia della moda. Ci furono un prima e un dopo. Quegli abiti provocarono il risveglio dell’industria della moda francese nel dopoguerra. E hanno influenzato il gusto fino a oggi. Non stupisce che negli ultimi giorni vari personaggi dei circoli della couture parigina si facciano tre ore di treno per venire a Granville, al museo consacrato a Christian Dior, nella villa dove da piccolo lo stilista curava i fiori del giardino con la mamma, con vista mozzafiato su una scogliera normanna. Tutti a vedere la mostra «Dior, la rivoluzione del New Look ». «Non c’è stato un caso analogo, la sfilata di uno sconosciuto ai più, che venga subito accolta con entusiasmo da giornalisti e compratori di tutto il mondo. E influenzi già nelle settimane successive il modo di vestirsi delle donne, anche di quelle che non potevano permettersi gli abiti di Dior», sottolinea Florence Müller, curatrice dell’esposizione.
Nuove proporzioni
A quel momento, almeno nella moda, la guerra non era ancora finita. Predominava lo stile che aveva fatto furore durante il conflitto, con una silhouette dritta e rigida, giacche dalle spalle quadrate, i fianchi non sottolineati, gonne relativamente corte (per risparmiare tessuto, vista la penuria...). E poi il cappello portato alto e con improbabili ninnoli, tanto per compensare la pochezza del resto. A Granville sono esposti otto dei vestiti proposti in quel mitico e glaciale (meteorologicamente parlando) 12 febbraio 1947. Ed è chiaro che rappresentarono una svolta: strettissimi in vita (a forza di corsetti, «resuscitati» da Christian, ripensando alla belle époque). E sui fianchi e nel resto del corpo un tripudio di curve, accentuate anche, se necessario (un giovane Pierre Cardin, allora collaboratore di Dior, andava in farmacia a comprare il cotone per i rinforzi).
Il tailleur Bar
L’abito «manifesto» della sfilata fu il «tailleur Bar», da indossare di pomeriggio, per andare a sorseggiare un cocktail, meglio se al bar del Plaza Athénée, frequentato anche da Dior. La gonna di quel tailleur è la «Corolle», come la corolla di un fiore, le pieghe che appaiono quali molteplici petali. «Quando guardo una donna è come se guardassi un fiore», amava dire Christian, rimembrando le ortensie multicolori del giardino di Granville.
Gli stilisti della maison
Alla mostra sono esposte le versioni successive del tailleur Bar, degli stilisti che si sono succeduti nella maison : il teatrale Gianfranco Ferré, l’eccentrico John Galliano, fino a quello attuale, il sobrio Raf Simons, che ha trasformato la gonna in pantaloni a sigaretta. Ai tempi, invece, la gonna era una gonna. E la Corolle necessitava più di dodici metri di tessuto. Che da alcuni, in anni in cui si razionavano ancora i beni di prima necessità, persino le stoffe, venne considerato un oltraggio. Durante un servizio fotografico nelle stradine di Montmartre, le modelle furono prese d’assalto da alcune donne del quartiere che strapparono loro quegli abiti «esagerati» di dosso, per farne chissà quanti con tutto quel ben di Dio... Pure negli Usa nacquero associazioni anti-Christian Dior, in alcuni casi di femministe, che vedevano in quella gonna lunga un regresso per la posizione della donna nella società. Si sa, nessuna rivoluzione è stata mai indenne dalle polemiche. Neanche quella di Monsieur Dior.
Leonardo Martinelli, La Stampa 8/8/2015