Gianluca Lo Vetro, La Stampa 8/8/2015, 8 agosto 2015
LA MIA TESTA SI MERITA UN CAPPELLO
I padri come i figli e viceversa i figli come i padri: inversione generazionale dell’uso del cappello nel doppio anniversario del Panama. Il copricapo torna prepotentemente sulla testa degli uomini. Ma se i ragazzi prediligono i modelli classici, in particolare il Borsalino, gli uomini più attempati inalberano il berretto da baseball, tipico dei rapper. Orientarsi in questa svolta di costume, può evitare di farvi entrare nella galleria di macchiette che da Charlot in poi fa ridere al cinema proprio col cappello.
Nomi, misure e città
Il modello più classico è il Panama. Il suo nome deriva dall’omonima città (ma con l’accento sulla A finale) perché, da secoli ne è il principale scalo commerciale. Questo cappello si chiama così, anche perché nel 1906 il presidente degli Stati Uniti lo indossò durante l’inaugurazione del celebre Canale artificiale. Prendere le misure del copricapo di Al Capone e Alain Delon, consente di ripassarne la nomenclatura. La via di mezzo, sempre perfetta, è il Borsalino. La sua tesa di media lunghezza non supera i 6 centimetri. Il Fedora dall’attrice Sarah Bernhardt che lo indossò nell’omonima opera di Victorien Sardou, è un po’ più largo: 7.5, 8 centimetri. Oltre, si sconfina nel cappello da gaucho proposto da Saint Laurent col poncho. (Nel caso vi trasferiate dagli Appennini alle Ande come nel libro Cuore di Edmondo De Amicis). Per contro il Trilby dalla novella di George du Maurier pubblicata nel 1882, ha la tesa piccola di 4,5 cm.
Doti
Ormai imitatissimo dai cinesi, il che la dice lunga sul suo tasso di gradimento, il Panama può essere d’infinite qualità. La più pregiata è il Montecristi ottenuto dai filamenti della paglia Toquilla: localitá in Ecuador dove Don Manuel Alfaro ne organizzò la produzione nel 1835, 180 anni fa. Infatti i modelli più raffinati hanno il marchio «hand woven in Ecuador», oltre al bordo di canneté interno che modella la calzata, perfezionandola e asciugando il sudore. Non è tutto. Il Panama divenne una moda internazionale dopo l’esposizione di Parigi del 1855, 160 anni fa. Dunque, festeggia un doppio compleanno. Grazie alla sua sottigliezza si può arrotolare come un rullo di carta. Gli uomini più vezzosi lo stringono in mano anche pizzicottandolo sulla calotta con un gesto visto sulla passerella Armani. Sta di fatto che oggi il cappello da «uomo del monte ha detto si» (ricordate lo spot dell’ananas?), piace soprattutto ai ragazzi come il principino Pierre Casiraghi. Per questo da Alessando Zanaria a Christy’s Hat’s, lo si trova in versioni coloratissime o reinterpretate con fantasia: a volte come nei modelli di Super Duper, con la tecnica della maglieria trasferita sulla paglia. Classici anti classici, insomma.
Accessori dell’accessorio
L’accessorio storico del Borsalino è il laccetto da abbottonare alla giacca per evitare che il cappello voli via, modello vignette comiche. Ma la linea My Bob disegnata da Geoffroy Moreels, è dotata di nuovi complementi. Uno per tutti, il piercing che perfora la tesa. Mentre, sui cilindri e le bombette di Move irrompono le borchie per «Klassici» rockettari. Già, perché le nuove generazioni indossano anche la bombetta di paglia del marchio Stencil, quello dei cappelli dell’indimenticabile J. R. di Dallas. Ma perchè i ragazzi riscoprono un accessorio vintage? Dallo scorso inverno col boom dei papillon, le nuove generazioni o le icone mature ma cool tipo Johnny Depp, amano i dettagli retrò rinnovati da abbinamenti random: senza logica apparente. Il Panama coordinato all’abito bianco? Evoca un passato fuori tempo massimo, elegantissimo, certo, autorevole, ma col difetto di invecchiare. Solo Brad Pitt, dopo i cinquanta, lo sfoggia con l’abito intero senza sembrare un nonno.
Snapback
Parallelamente al cappello con le ali, tra i giovanissimi spopola il berretto da baseball, divenuto simbolo dei rapper dagli Anni ’90. Loro lo chiamano «snapback» dal modo di calzarlo, virandone la visiera sulla nuca. Il gesto birbante secondo taluni sarebbe mutuato da Ash Ketchum dei Pokèmon.
Fatto sta che nel linguaggio originario dei musicisti ribelli, questo accessorio serve a comunicare il proprio stato d’animo. Tant’è che esistono modelli con la scritta «ansia» e «paura». La vera novità, tuttavia, è che oltre ai figli, anche i genitori sfoggiano questo accessorio. Per molti è un trucco con cui nascondere la calvizie. L’importante, è usarlo solo nel tempo libero se non siete cantautori anticonformisti tipo Vasco Rossi o Francesco De Gregori. Viceversa da accessorio giovane rischia di trasformarsi in discutibile dettaglio giovanilista.
Gianluca Lo Vetro, La Stampa 8/8/2015