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 2015  agosto 08 Sabato calendario

“ISCRITTA IN ROMANIA? PUÒ FARE MEDICINA IN ITALIA”

Perché merci, cittadini e lavoratori hanno diritto a circolare liberamente nei confini dell’Unione Europea e gli studenti no? Perché c’è qualcosa che non funziona nella nostra legislazione, verrebbe da pensare ora che la giustizia amministrativa ha cominciato a scardinare uno dei principi del sistema universitario: per frequentare i corsi a numero chiuso bisogna superare la prova di ammissione, altrimenti niente da fare. Sbagliato. Un’alternativa c’è: iscriversi all’estero e poi chiedere il trasferimento.
Sara Puscio, studentessa salentina di 22 anni, ha trascinato in tribunale l’Università di Torino ed ha vinto. Tra un mese busserà alla porta della facoltà di Medicina per pretendere quel che due anni fa le è stato negato: l’iscrizione ai corsi e il trasferimento dall’università di Targu Mures, città di 142 mila abitanti nel cuore della Romania, dove si era iscritta nell’autunno del 2012 non avendo superato il test in Italia. Frequentato il primo anno ha deciso di rientrare e fatto domanda a Torino che, a fine agosto del 2013, l’ha respinta. Motivo? Impossibile accettare nei corsi a numero programmato studenti in arrivo da sedi estere, anche comunitarie, che non abbiano superato la prova di ammissione italiana.
L’Europa
A una prima analisi non fa una piega: se l’Italia regolamenta l’accesso alla professione medica - regola contro cui sbattono ogni anno migliaia di giovani - iscriversi all’estero e poi tentare il rientro ha il sapore dell’escamotage. Ma c’è l’Europa, con le sue regole, a cominciare dall’articolo 165 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sulla libera circolazione degli studenti e sulla cooperazione tra gli istituti di insegnamento. Una norma violata, secondo il Tar del Piemonte, nel caso di Sara Puscio.
La studentessa, incassato il rifiuto del rettore di Torino, ha dovuto iscriversi al secondo anno in Romania e attendere i tempi della giustizia. «Ha superato tutti gli esami con il massimo dei voti», precisa l’avvocato Luigi Quinto che ha seguito la causa con due colleghe. «Questa sentenza sanziona un cortocircuito: apparteniamo all’Europa che prevede la libera circolazione dei suoi cittadini e poi surrettiziamente introduciamo limitazioni. Ora l’Università di Torino valuti il percorso della studentessa».
Sì, non è finita. Il Tar ha censurato non tanto il niet dell’ateneo quanto il fatto che la decisione sia stata presa a scatola chiusa perché la giovane non aveva superato i test. Ma quella prova, per i giudici, vale solo per l’accesso al primo anno. Dopo non occorre verificare la «predisposizione» al corso di studi ma la capacità e il merito, come stabilito a gennaio dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. E tocca alle università valutare rigorosamente percorso di studi e qualità dell’ateneo in cui è stato compiuto. La sentenza è chiara: «Il problema “elusione” e quello connesso “intransigenza/lassismo” si risolvono non con la creazione di percorsi ad ostacoli ma predisponendo e attuando un rigido controllo».
Andrea Rossi, La Stampa 8/8/2015