Luigi La Spina, La Stampa 8/8/2015, 8 agosto 2015
SE IL GOVERNO CEDE ANCORA AI BUROCRATI
La decisione del Cipe che ha drasticamente tagliato i fondi per le cosiddette «compensazioni» alla Valsusa, previste nel progetto dell’alta velocità Torino-Lione, si può valutare considerando due aspetti: quello giuridico-burocratico e quello più strettamente politico. Il primo può fungere da alibi per i ministri più coinvolti nell’impegno per la realizzazione di quest’opera, il secondo colpisce direttamente la credibilità del preteso modo diverso di governare continuamente rivendicato da Renzi.
Per comprendere il pretesto giuridico utilizzato dal Cipe per abbassare dal 5 al 2 per cento, sul costo per l’Italia del progetto, i finanziamenti compensativi per la Valsusa è necessario un breve riassunto della lunga e travagliata vicenda. I burocrati ministeriali, per giustificare il taglio da 112,5 a 32 milioni di euro, fanno riferimento a un decreto del maggio 2011 sul codice degli appalti che prevede, appunto, la riduzione dei finanziamenti dal 5 al 2 per cento. Ma il progetto della Tav risale addirittura al 2004 ed è stato approvato nel 2010 e pubblicato nell’aprile 2011.
Quindi, prima del decreto che ha modificato il famoso comma terzo dell’articolo 165, quello relativo alla percentuale del 5 per cento.
L’applicazione retroattiva della legge costituisce un ben debole schermo giuridico per valutare, invece, la capacità di questo governo di mostrarsi davvero «diverso» rispetto ai tradizionali modi di gestione politica caratteristici della nostra storia repubblicana. Sotto due punti di vista: il rapporto con la struttura burocratica-dirigenziale dei ministeri e la coerenza nell’evitare la solita dispersione dei fondi pubblici sul territorio nazionale per ragioni di consenso elettorale.
Il pesante condizionamento tecnico-burocratico sulle scelte politiche è stato, fin dall’inizio dell’esperienza governativa del premier, nel mirino polemico della sua retorica propagandistica. Renzi, riferendosi chiaramente alle vicende dei governi Monti e Letta, ha motivato la presunta inefficacia dell’azione riformistica dei suoi predecessori con la prevalenza delle prudenze, degli ostacoli, persino di un sostanziale boicottaggio provenienti dalla struttura dirigenziale dei ministeri.
La rivendicazione del primato della politica è stata uno dei temi fondamentali della cosiddetta narrazione renziana, forse il più coraggioso in tempi di discredito pubblico per l’intera classe politica. Una pretesa, però, che sembra scontrarsi con la realtà di una gestione quotidiana del potere non lontana dalle antiche prassi italiche, come dimostra clamorosamente la decisione del Cipe, in contrasto con i solenni impegni di tutti i ministri che si sono succeduti al dicastero dei trasporti e dei lavori pubblici.
Il ministro Delrio ha cercato, ieri sera, di rassicurare le autorità politiche regionali e locali, a partire da Chiamparino e Fassino, sull’entità globale dei finanziamenti compensativi che saranno stanziati in successivi provvedimenti. Speriamo che la promessa sia mantenuta, ma, a questo punto, l’impressione è che anche questo governo stia cedendo a quella politica di «mance» elettorali distribuite a pioggia su tutto il territorio. Senza considerare la necessità, invece, di individuare e di concentrare su poche, ma importanti opere l’impegno della finanza pubblica.
Il progetto della Tav Torino-Lione è anello essenziale di un corridoio di grandi collegamenti europei che consentirebbero al nostro Paese di non essere isolato nei traffici del prossimo futuro. Ha suscitato molte opposizioni, più o meno giustificate, che si possono superare solo se lo Stato dimostra coerenza di atteggiamenti, serietà nel rispetto degli impegni, lealtà nei confronti degli abitanti della Valsusa. E’ una prova importante per la classe politica italiana, ma è una prova decisiva per il governo Renzi. Non tanto e non solo per tutti coloro che sono interessati alla realizzazione dell’alta velocità Torino-Lione, ma per giudicare, nonostante alcune recenti delusioni, quanto ancora sia possibile sperare in quel «cambiare verso» promesso da Renzi. Non vorremmo che, dopo appena un anno e mezzo, si sia davvero «cambiato verso», ma per imboccare «la marcia indietro».
Luigi La Spina, La Stampa 8/8/2015