Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 08 Sabato calendario

STALIN, DA NOI, È STATO SEMPRE BANALIZZATO PIÙ DI QUANTO I NEGAZIONISTI, CHE SONO I TIFOSI DI HITLER, ABBIANO MAI BANALIZZATO L’OLOCAUSTO

Triste scienza, la storia del XX secolo, specie quando a uno storico tocca battere e ribattere sempre lo stesso chiodo, quello del totalitarismo comunista. Com’è per esempio capitato a Robert Conquest, inglese, professore alla Columbia e a Stanford, diplomatico a Sofia e New York, autore negli anni sessanta del classico Il grande terrore (BUR Rizzoli 1999) e più tardi di un’aggiornata e plumbea biografia del Padre dei popoli (Stalin, Mondadori 2014). Un altro suo libro fondamentale è Il secolo delle idee assassine, Mondadori 2002, che illustra nel dettaglio gli incubi della letteratura estremista e delle pseudoscienze da cui sono derivate le Weltanschauung di destra e di sinistra che, nel nome d’ignobili ideali, hanno devastato gli ultimi cent’anni di storia universale.
Anche su Stalin c’è ormai poco da aggiungere. Fu davvero un agente della polizia segreta zarista come si è sempre mormorato? Davvero aiutò Lenin, il suo maestro, a togliere il disturbo con una pasticca di cianuro, come spettegolava Trotzky? Non lo sapremo mai.
Caduto il comunismo, resi più o meno pubblici gli archivi di stato sovietici, non è saltato fuori niente di nuovo, per quanto Conquest e altri storici li abbiano frugati per lungo e per largo: Stalin ha provveduto a cancellare le tracce, se ce n’erano, e a eliminare i testimoni, se ne era soppravvissuto qualcuno, molto tempo fa. Mostro generato dal sonno della ragione socialista, terrorista fanatico, divoratore d’anime a milioni, Stalin non è un uomo che possa essere raccontato attraverso la sua storia personale, se pure fosse possibile ricostruirla. Stalin e la storia del comunismo coincidono: la sua vera biografia è Il grande terrore, che da noi è stato sempre banalizzato (più di quanto i negazionisti, tifosi di Hitler, abbiamo mai banalizzato l’Olocausto).
Stalin e il suo sistema poliziesco chiavi in mano, paracadutato tale e quale sui popoli di mezzo mondo tra la fine della seconda guerra mondiale e il crollo del comunismo, non hanno mai sfondato nei cataloghi degli editori italiani. Che Stalin, millantato a lungo nelle storiografie ufficiali come un semplice incidente di percorso sulla strada impervia del socialismo, fosse in realtà la chiave di volta della storia del socialismo, il suo nocciolo duro e il suo segreto, naturalmente lo sapevano tutti, compresi gli stalinisti residui e inveterati, che ancora negli anni settanta e ottanta non si lasciavano scoraggiare nemmeno dai massacri di Pol Pot. Da quest’orecchio, fino a pochi anni fa, la cultura italiana ufficiale e i suoi maîtres à penser ci hanno sempre sentito poco e male.
In prima edizione, per dire, Il grande terrore di Conquest fu pubblicato da un editore di destra, oscuro e marginale, praticamente un samidatz. Prima d’essere finalmente ristampato, ma senza che nessuno si facesse fretta, da Mondadori e da Rizzoli, il libro di Conquest (un cult della storiografia moderna) ebbe scarsa diffusione, a differenza delle storie del comunismo pesantemente taroccate, per esempio la Storia del Partito comunista italiano di Paolo Spriano, che per anni hanno infestato i banconi delle librerie.
Persino le biografie di Stalin scritte da marxisti in odore d’eresia, a cominciare dal classico Stalin di Boris Souvarine, Adelphi 2003, scritto negli anni trenta, non soltanto prima del XX congresso del Pcus ma addirittura prima delle grandi purghe, erano malviste e ignorate dagli editori. Per leggere Souvarine, un autore che alla storia dello stalinismo dedicò tutta una vita onorata, abbiamo dovuto aspettare che Adelphi, all’epoca considerato un editore decadente e degenere, lo traducesse negli anni ottanta. Un altro classico dell’antistalinismo marxista, lo Stalin d’Isaac Deutscher, biografo di Trotzky e a sua volta storico dello stalinismo, uscì da Longanesi verso la metà degli anni sessanta e fu ristampato solo vent’anni dopo.
Di Stalin e della sua trucida epopea, questione forte, questione seria, ai nostri intellettuali di grido, di solito attentissimi alle questioni da nulla, non poteva importare di meno. C’era stata la destalinizzazione e quindi per loro il discorso era chiuso. A che pro tornarci sopra? Problemi esotici, fatti remoti. C’era il rischio, inoltre, che l’ombra proiettata da Stalin sul Novecento oscurasse il sole libero e giocondo del loro marxismo da operetta pia. Meglio pensare ad altro. Stalin e il suo tempo raccontavano una storia (lo sterminio dei kulaki, il gulag, l’apocalisse economica, le carestie e le deportazioni di popolazioni intere, l’alleanza con Hitler) che le leggi bronzee del divenire non prevedevano e che le grandi firme dei giornali devoti preferivano ignorare. Ancora oggi, leggo sul Giornale, la stampa di sinistra, non solo in Italia, commenta con ridicole malignità la morte di Conquest, che per tutta la vita tenne alta la bandiera della verità storica.
Diego Gabutti, ItaliaOggi 8/8/2015