Ester Corvi, MilanoFinanza 8/8/2015, 8 agosto 2015
SARÀ UN’ALTRA MUSICA
Giù del 13%. Dal giorno della comunicazione degli utili trimestrali, il 22 luglio, il titolo Apple ha registrato sul Nasdaq un ribasso a doppia cifra, comprimendo la performance da inizio anno al 5,3%. Una correzione per alcuni motivata. Per altri no. Che è però costata al gigante di Cupertino oltre 90 miliardi di capitalizzazione, scesa a 656 miliardi di dollari, e ha fatto evocare ad alcuni analisti un altro mese rimasto impressa nella memoria di molti: il settembre 2012.
Da lì partì una fase ribassista, con il titolo in picchiata del 44% nei sette mesi successivi. Al di là di questi foschi paragoni, che la maggioranza degli esperti ritiene inappropriati, nel dibattito tutto ruota intorno ai timori sulle vendite future degli iPhone e i loro margini di redditività, partendo dai conti del terzo trimestre (l’esercizio si conclude a settembre), che hanno evidenziato una crescita dei ricavi del 33% rispetto all’anno precedente, leggermente al di sotto delle aspettative del mercato. L’utile è invece salito del 38% e l’utile per azione (eps), rettificato per tener conto del buyback, del 45%. Incrementi di questa entità sarebbero considerati più che buoni nel caso di qualsiasi altra società, ma non di Apple, con gli investitori abituati a essere stupiti sempre al rialzo, da una blue chip, la maggiore al mondo per capitalizzazione, che non ha quasi mai deluso. Premiata dal mercato, con una performance a cinque anni del 223,5%, che anche a causa dello scivolone recente negli ultimi 12 mesi si riduce al 22%.
Colpa anche della Cina. Nella trimestrale le vendite nel Paese asiatico sono più che raddoppiate, fino a 13 miliardi di dollari, ma le notizie sul rallentamento congiunturale, unite all’agguerrita concorrenza che arriva dai produttori locali, come Xiaomi e Huawei Technology, hanno fatto accendere campanelli d’allarme. Timori per gli analisti di Société Générale, che assegnano al titolo un prezzo obiettivo di 140 dollari, del 22% superiore alle quotazioni attuali, del tutto ingiustificati. A parere di Andy Perkins, nei mercati emergenti, dove nel periodo aprile-giugno i ricavi sono cresciuti del 79%, c’è un notevole potenziale ancora tutto da sfruttare, a cui si aggiunge la domanda di iPhone 6 e dei modelli 6 Plus nei Paesi occidentali, che è destinata a restare forte. Anche le indicazioni sulla domanda di nuovi modelli sono incoraggianti, con le vendite di iPhone che sono state incrementate da Perkins a 241 milioni nel 2016 da 233 milioni nel 2015.
Per non parlare dell’Apple Watch, che sta conquistando spazio fra gli orologi tradizionali, tanto che gli ultimi dati disponibili, quelli riferiti a giugno, indicano una domanda di orologi in discesa negli Stati Uniti per la prima volta in sette anni. In particolare, secondo i dati riportati da Npd Group, ripresi dal sito Bloomberg News, i negozi hanno venduto orologi per 375 milioni di dollari, l’11% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. In termini di unità vendute, il calo è stato del 14%, il più forte dal 2008. Fra i più ottimisti sulle prospettive del titolo ci sono gli specialisti di Morgan Stanley, che ritengono che Apple, che alle quotazioni recenti viene scambiata 12,6 volte l’utile dell’esercizio 2015, 11,2 nel 2016 e 10,4 nel 2017, meriti il 34% in più, in vista di un target price di 155 dollari. A trainare al rialzo il titolo, oltre all’aumento atteso delle vendite di iPhone, ci saranno i nuovi prodotti (Apple Watch) e servizi, come Apple Music, visto che 11 milioni di persone hanno già sottoscritto il sistema di music streaming a un mese dal suo lancio.
Ester Corvi, MilanoFinanza 8/8/2015