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 2015  agosto 08 Sabato calendario

UNA RAI A TUTTA BANDA

Indovinello sotto l’ombrellone: che cosa ha a che vedere lo sblocco del piano banda ultralarga con la nomina del nuovo cda della Rai? Apparentemente nulla. Eppure da giovedì scorso, quando con un improvviso colpo di reni il Cipe ha sbloccato i primi 2,2 miliardi per la realizzazione della nuova rete in fibra ottica, nei corridoi dei palazzi romani è iniziato a circolare un teorema che unisce con un filo rosso le due mosse, entrambe inaspettate e fortemente volute dal premier Matteo Renzi.
Non è un mistero che per Palazzo Chigi la diffusione della connessione internet veloce in tutto il Paese sia una priorità assoluta, che si sta scontrando però con molte difficoltà procedurali e di budget.
Così nelle settimane passate, nel mettere a punto i piani per finanziare con soldi pubblici parte degli investimenti necessari, i tecnici avrebbero fatto presente che senza un contributo importante dei privati il piano difficilmente riuscirà ad arrivare in porto. E qui spunta la tv pubblica, perché il modo migliore per invogliare i gruppi di tlc a investire sulla banda larga è proprio quello di riempirla il più possibile di contenuti e la Rai è il maggiore produttore di contenuti media del Paese. Riconvertire la tv di Stato verso le nuove piattaforme potrebbe quindi dare una spinta decisiva al piano banda ultralarga.
Va inoltre sottolineato che senza una svolta in questo senso la Rai rischierebbe comunque di soccombere alla sempre più pressante concorrenza dei privati; basti pensare agli accordi stretti di recente da Telecom con Mediaset, Sky e anche con Netflix, che sbarcherà a breve in Italia.
Certo, saranno necessari importanti investimenti, ma puntare sull’alta definizione, sull’on demand, sulla personalizzazione dell’offerta tramite bouquet di canali e sui tanti altri servizi resi possibili dallo streaming è l’opportunità per la tv pubblica di sbarcare nella nuova era dei media .
Insomma, l’idea sarebbe quella di innescare un circolo virtuoso in cui gli investimenti per la trasformazione della tv pubblica spingano quelli privati sulla banda larga, che a loro volta potrebbero indurre i produttori di contenuti a investire sempre più su questo tipo di prodotti. E proprio la volontà di innescare questo meccanismo avrebbe indotto alla contemporanea accelerazione sulla banda larga da una parte e sul ricambio dei vertici Rai dall’altra. In quest’ottica, al di là delle polemiche sulla lottizzazione del nuovo consiglio di amministrazione (ne fanno parte, oltre alla presidente Monica Maggioni, il rappresentante del Tesoro Marco Fortis, Carlo Freccero, Guelfo Guelfi, Rita Borioni, Franco Siddi, Arturo Diaconale, Paolo Messa e Giancarlo Mazzuca), il ribaltone in Rai somiglia a quello avvenuto in Cassa Depositi e Prestiti a inizio luglio.
Anche in quell’occasione Renzi aveva una sua idea di che cosa la Cdp avrebbe dovuto fare per l’economia del Paese e così ha deciso di non aspettare la scadenza naturale del cda e di mettere due nuovi manager (Claudio Costamagna come presidente e Fabio Gallia ad) sulla tolda di comando. Il fattore tempo era considerato fondamentale, proprio come per lo sviluppo della banda larga, a cui la nuova Rai dovrà contribuire il prima possibile. Anche da questa urgenza sarebbe scaturita la mezza retromarcia sulla riforma della tv pubblica, proposta dal governo ma rimasta impantanata in Parlamento. A questo punto, con i nuovi manager già in carica, probabilmente ci si limiterà a inserire nella riforma una postilla che permetta, quando la legge sarà approvata, di lasciare in sella il nuovo capo-azienda Antonio Campo Dall’Orto, nominato direttore generale il 6 agosto. Chi ha tempo non perda tempo, quindi, anche perché la sfida è legata non solo alle sorti della Rai ma anche a quelle del piano per la banda ultra-larga ed è in qualche modo traducibile anche in sonanti risparmi per le casse dello Stato. Per portare la connettività ultraveloce in tutta Italia, infatti, si stima servano 12 miliardi da qui al 2020, di cui 5 dovrebbero venire da investimenti privati e il resto dall’intervento dello Stato. Ma, secondo i tecnici del governo, un’accelerazione dei progetti privati potrebbe portare a ridurre la quota pubblica fino a 4 o addirittura 3,5 miliardi.
Luisa Leone, MilanoFinanza 8/8/2015