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 2015  agosto 08 Sabato calendario

I TRE REBUS DEL DRAGONE

La Cina è stata colta in contropiede: mentre stava perseguendo con successo, passo dopo passo, una serie di obiettivi strategici sul piano internazionale, sembra costretta a chiudersi in difesa per sostenere l’economia interna. Il suo sistema finanziario ha mostrato segni di gracilità, mentre le sofferenze bancarie si accrescono.
Intanto, un inedito deflusso di capitali verso l’estero, sin da marzo, ha ridotto la liquidità interna e le riserve valutarie.
Pechino sta costruendo con grande pazienza e altrettanta determinazione le condizioni per un secolo cinese, all’insegna del bipolarismo rispetto agli Usa. Gli accordi energetici con la Russia, ancorché strumentali, sono parte dell’intento di costruire un’area economica alternativa, e soprattutto competitiva in termini di crescita potenziale, rispetto a un Occidente ormai esausto. Il percorso delineato dalla Cina è ambiguo: per un verso, infatti, ambisce a legittimarsi nell’ambito delle istituzioni economiche internazionali nate alla fine del Secondo conflitto mondiale, Fmi e Wto, mentre dall’altro tende a delegittimarle creandone altre, parallele, a propria immagine e somiglianza. Vorrebbe in questo imitare gli Usa, che sin dai tempi di Bretton Woods hanno usato le istituzioni internazionali come strumento della propria presenza globale. Le regole internazionali sono servite a costruire i mercati, in cui si sono insediate le multinazionali statunitensi.
Pechino ha chiesto al Wto, alla scadenza dei 15 anni dalla ammissione, di essere considerata economia di mercato al fine di far cessare le residue limitazioni commerciali che ancora la penalizzano. Inoltre, ha sollecitato il Fmi al fine di ammettere lo yuan tra le valute di riserva internazionali considerate per la determinazione dei Diritti Speciali di Prelievo (Dsp). Contemporaneamente, è membro attivo dell’organizzazione dei Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) che convoca summit al pari del G7, anima lo Sco (Shanghai Cooperation Organization), sostiene la Eeu (Eurasian Economic Union), ha fondato la Aiib (Asian Infrastructure Investment Bank) e partecipa al capitale della Ndb (New Development Bank) la Banca di Sviluppo costituita dai Paesi Brics in alternativa alla World Bank. È una strategia a tutto tondo, tutta concentrata sull’Heartland, il Grande Medioriente. Basta considerare geograficamente la convergenza territoriale di India, Russia e Cina, per avere una dimensione della prospettiva: quasi tre miliardi di persone, un mercato immenso, demograficamente dinamico, cui non mancherebbero i capitali per lo sviluppo. Quelli cinesi sono lì, pronti. Pechino ha adottato nell’area una politica di avvicinamento basata sulla realizzazione d’infrastrutture e sugli investimenti produttivi, assai attenta a non farsi invischiare nello schema dello scontro di civiltà in cui è rimasto impigliato l’Occidente.
Non tutto, però, sta andando secondo i piani. Oltre alle difficoltà interne alla Cina, gravi perturbazioni sui mercati internazionali stanno compromettendo la stabilità economica e finanziaria dei partner, innanzitutto Russia e Brasile. Da un anno a questa parte c’è stato un vistoso calo dei prezzi delle materie prime: il petrolio galleggia attorno ai 50 dollari al barile. L’Arabia Saudita ha dovuto fare i conti con questo deprezzamento, presentandosi per la prima volta nella storia sui mercati finanziari come prenditore di capitali e non come investitore. Anche il prezzo dell’oro è in discesa, dimezzato rispetto ai 2 mila dollari l’oncia del 2011. Se è del tutto corretto che il prezzo del petrolio lo faccia la domanda, vista l’esuberanza dell’offerta e le modeste prospettive di crescita dell’economia mondiale, e che di conseguenza l’intero listino delle materie prime vada giù di peso, non sembra coerente con questa lettura un notevole calo del prezzo dell’oro. Di fronte a una economia mondiale in ripresa, un forte calo del prezzo dell’oro ci starebbe tutto. In questa strana combinazione di bassi prezzi del petrolio, delle materie prime e dell’oro, s’intravvede una pietra d’inciampo rispetto alla prospettiva di de-dollarizzare gli scambi tra i Paesi Brics, che dovrebbero fondarsi su rapporti di cambio valutario in cui le rispettive monete hanno come sottostante riserve di oro e di risorse naturali. Il progetto, futuribile, viene messo in gravi difficoltà.
C’è un’altra variabile geopolitica, che ha fatto irruzione nello scacchiere del Grande Medioriente, caratterizzato da oltre un trentennio di guerre: l’accordo sull’interruzione dell’arricchimento dell’uranio cambia le carte in tavola. Dopo quasi un quarantennio di sanzioni economiche, l’Iran torna ad essere la chiave di volta dell’area, al centro tra Iraq e Afghanistan. Si apre per la Cina la prospettiva di ampie relazioni commerciali internazionali: l’Iran non è solo un forte produttore di petrolio, in diretta competizione con la Russia e l’Arabia Saudita, ma un mercato ampio ed evoluto che ha necessità di consistenti investimenti. Uno sviluppo del Grande Medioriente sostenuto dalla Cina favorirebbe una sorta di rilaicizzazione dell’area, scevra però dai miti del mercatismo. La ritirata militare americana dall’area sarebbe seguita da un ridimensionamento politico: la Russia non potrebbe che approvare, anche se con qualche apprensione.
La Cina si trova di fronte a una sfida internazionale diversa da quella immaginata finora: non deve fare i conti solo con lo strapotere del dollaro e dei mercati finanziari. Deve confrontarsi con altre culture, provando a resistere alla tentazione dell’egemonia. Lo sviluppo e l’approfondimento delle relazioni cinesi con l’Iran e nell’intera area del Grande Medioriente possono stemperare la tendenza panislamista, che minaccerebbe inizialmente solo l’Occidente, ma che presto si estenderebbe agli «-stan country» a meridione della Russia. Di converso, la coesistenza di culture e di religioni diverse in un’area che comprende anche Russia ed India, può limitare la tendenza a un bipolarismo tra Usa e Cina, con la contrapposizione di blocchi politici, economici e finanziari.
Nello scorso quindicennio, vendere prodotti all’Occidente è stata in fondo per la Cina un’impresa molto più semplice rispetto alle sfide che le si pongono oggi. La prospettiva di costruire attorno ai Brics un blocco alternativo a quello occidentale, oppure quella di realizzare nell’Heartland del Grande Medioriente un’area di sviluppo competitiva rispetto al resto del mondo, sono sfide molto più complesse: c’è l’unipolarismo dei mercati finanziari da tenere a bada, e le culture dei popoli con cui fare i conti.
Guido Salerno Aletta, MilanoFinanza 8/8/2015