Guglielmo Longhi, La Gazzetta dello Sport 8/8/2015, 8 agosto 2015
CASTORI: «IN PANCHINA COL SAN PATRIGNANO HO TROVATO LA MIA SERIE A»
A San Patrignano li chiamano ragazzi in percorso, non pazienti perché non sono in ospedale e neppure ospiti perché non sono in albergo. Fabrizio Castori è uno di loro, i 3 anni da allenatore, anzi consulente tecnico, hanno lasciato il segno. Lo capisci quando entra in mensa: reduci dall’allenamento sullo splendido campo in sintetico, i giocatori lo vedono, si alzano, applaudono. Nessuno lo conosce di persona, ma tutti sanno cosa ha fatto.
NIENTE SCONTI Il debuttante in A col Carpi è orgoglioso del suo passato. Lui, l’anti personaggio, figlio di un operaio e di una sarta; quello che sarà difficile vedere in panchina in giacca e cravatta; quello che ha fatto un’interminabile gavetta, dalla Terza categoria in su; quello da sempre impegnato nel sociale tanto che a Lanciano seguiva un gruppo di disabili. Qui, tra chi ha scelto il calcio per ritrovare autostima dopo l’incubo della droga, è quasi una star. Racconta Marcello Chianese, 50 anni, l’attuale tecnico: «Al secondo giorno conosceva già i nomi di ogni ragazzo, ed erano una trentina». La selezione avviene all’inizio di agosto, saper giocare a calcio non basta: serve il giusto punto di equilibrio per controllare emozioni e reazioni. I risultati sono eccellenti anche da questo punto di vista: il San Patrignano ha vinto le ultime 4 coppe disciplina del campionato di Seconda categoria. Chi sgarra o fa casino, se ne va. Castori stesso non faceva sconti a nessuno e oggi ricorda: «Un ragazzo sbaglia un movimento e si mette a ridere. M’incazzo. Sbaglia ancora e si mette a ridere. Allora vado da lui, lo prendo per la maglietta e gli urlo: “Ma perché ridi?” Non l’ha più fatto». Castori è proprio così, non porta maschere, non sa fingere, per questo è diventato una furia quando ha saputo che Concas, l’anno scorso al Carpi, era stato trovato positivo alla cocaina: «Uno stupido, stava andando in A, perché lo faceva?». Dice Chianese, un ex ragazzo in percorso (eroina), uscito alla grande oltre trent’anni fa e da 7 con regolare patentino di allenatore Uefa B: «C’era con me un attaccante molto bravo, un ex scippatore. Per fargli capire uno schema, un giorno gli dico: tu stai a sinistra, io sono dalla parte opposta e tengo in mano un Rolex. Immagina di portarmelo via. Ha funzionato…».
NON HA DIMENTICATO Castori non ha dimenticato i suoi ragazzi, ancora adesso li cerca quando escono dopo i tre anni obbligatori in comunità (dal 1978 a oggi sono state accolte oltre 25 mila persone, ora sono 1.300). Li consiglia. Nell’estate di due anni fa, quando aspettava una panchina (sarebbe arrivata la Reggina), è andato con la squadra una settimana in ritiro, a Novafeltria, vicino a Rimini. Decisione sua: era l’occasione per respirare aria di casa. Del suo gruppo è rimasto solo Claudio Ceccotti, 37 anni, ex terzino, oggi vice allenatore e responsabile dell’allevamento dei labrador della pet therapy. Anche lui un ex ragazzo in percorso, come un terzo degli oltre 400 tra collaboratori e volontari. «Perché hai smesso di giocare?», gli chiede Castori. «Mister, troppa fatica, anche se qualche partita l’ho fatta quando eravamo in emergenza». Lasciare la squadra non è così semplice: devi spiegare perché davvero te ne vuoi andare. E’ una specie di sconfitta. «Le motivazioni sono alla base di tutto», dice Castori sintetizzando la sua elementare idea di calcio, più velocità che tecnica. San Patrignano o Carpi, non fa differenza. Quando ha cominciato ad allenare in comunità era l’autunno del 2004 e stava scontando la squalifica (3 anni poi ridotti a 2) per la rissa durante la finale playoff di C1 col Cesena. «Ma voglio precisare una cosa: non ho accettato di venire qui perché non sapevo cosa fare o dovevo espiare una colpa, avevo deciso di farlo già prima dei fatti di Lumezzane». L’idea è nata durante un triangolare benefico tra il Cesena, il Cervia di Graziani (quello del reality tv) e il Sanpa per l’occasione allenato da Sacchi. «Fabrizio si è avvicinato alla nostra realtà con semplicità e questo è piaciuto alla squadra», spiega Chianese che era l’allenatore ufficiale perché il punito Castori non poteva andare in panchina né essere tesserato. Ma non si perdeva un allenamento o una gara: «A un certo mi è stato detto di non farmi vedere in tribuna, perché i rivali si trasformavano e correvano il doppio…». Dopo due tentativi, la promozione in Seconda. Per i ragazzi una vittoria in campo e fuori, contro ignoranza, pregiudizi, e gli insopportabili insulti che a volte volavano dal pubblico: «Drogati!», «Tossici!», «Malati!».
LA GAVETTA E così, scollinati i 60, il ruspante Castori si prepara al grande salto. Non sa cosa lo aspetta («Mi piace l’idea di sfidare squadre che spendono molto di più»), non invidia chi non ha fatto gavetta («Serve: ti fa crescere poco per volta e dai tuoi errori puoi imparare molto»), pensa che il Carpi di Lasagna e Mbakogu saprà stupire anche se ora è un po’ imballato («In estate succede sempre alle mie squadre»). Però è sicuro di una cosa: «Non cambierò abitudini né mi monterò la testa. La mia ricchezza è aver conosciuto la povertà. La vera A l’ho trovata a Sanpa».