Sebastiano Messina, la Repubblica 8/8/2015, 8 agosto 2015
Non è fatta di acqua e fango, la palude dove i vietcong di Palazzo Madama aspettano Matteo Renzi. E’ una palude asciutta, una palude di carta
Non è fatta di acqua e fango, la palude dove i vietcong di Palazzo Madama aspettano Matteo Renzi. E’ una palude asciutta, una palude di carta. Mezzo milione di emendamenti sganciati sulla rotta della riforma del Senato per farla sprofondare tra quei fogli stampati. Mezzo milione di correzioni formali per sostituire un avverbio, una cifra o un punto e virgola. Mezzo milione di modifiche – 513 mila 450, per l’esattezza, e per rendersi conto di quanto sia ampia e profonda questa palude di carta basta ricordare che l’anno scorso furono 7 mila emendamenti, appena la metà di quelli che oggi superano la soglia del mezzo milione, a inchiodare per settimane l’aula su questa riforma – per farne passare in realtà una sola: «Il Senato è eletto dal popolo». Il feroce ostruzionismo che Barack Obama dovette superare nel 2010 per far passare la sua contestatissima riforma sanitaria - 564 emendamenti - paragonato alla palude che attende Renzi sembra una pozzanghera estiva. Ma anche per l’Italia è un inedito. Settant’anni fa, quando l’Assemblea costituente approvò i 140 articoli della Costituzione, i deputati misero nero su bianco tutte le modifiche che avevano in mente. Si fermarono a quota 1663, ed ebbero il dubbio di aver esagerato. Adesso il leghista Roberto Calderoli ne ha depositati da solo 510.293, e vuol presentarne altri sei milioni e mezzo, e non si accontenta di «affossare la riforma e la legislatura», ma minaccia di far crollare – letteralmente- il Palazzo: «Per regolamento ogni emendamento deve essere stampato e distribuito a ciascun senatore. Non parlo a vanvera, io studio. E quando presenterò gli emendamenti chiederò che la Sovrintendenza valuti come un palazzo di quel valore storico possa reggere quel carico di carta…». Non colpisce, ormai, che un vicepresidente del Senato progetti un ostruzionismo che sfiora il sabotaggio, ma - per quanto sia fuori discussione il sacrosanto diritto di ogni parlamentare a proporre ogni modifica quando si tratta di riformare la Costituzione – qui ci troviamo di fronte a un’altra domanda: può, un singolo senatore, bloccare con un’alluvione di emendamenti una legge che non gli piace? E cosa succederebbe, se da oggi in poi questa tecnica ostruzionistica venisse adottata per impedire che il Parlamento approvi le leggi che dividono le coscienze, a cominciare da quella sulle unioni civili? La domanda, naturalmente, non riguarda il solo Calderoli, ma anche Forza Italia e Sel, due partiti che hanno depositato mille emendamenti ciascuno. E chiama in causa il presidente del Senato, Pietro Grasso, al quale spetterà adesso il non facile compito di coniugare il diritto al dissenso (e all’emendamento) di ciascun senatore e il diritto del Senato di legiferare. Ma è evidente che toccherà al governo – ovvero al presidente del Consiglio - sbrogliare questa matassa. Ormai la minoranza del Pd si muove come un gruppo autonomo, in Parlamento: s’è visto nitidamente nell’elezione dei consiglieri Rai, dove il voto dei dissidenti ha regalato ai berlusconiani un secondo seggio nel Cda, e se n’è avuta una conferma con gli emendamenti che gli irriducibili hanno presentato alla riforma del Senato. E senza quei 28 voti la maggioranza di governo non riuscirà mai a far passare la legge costituzionale. Così tutti si chiedono come Renzi pensi di uscire da questo labirinto privo di una apparente via d’uscita senza ricorrere di nuovo al soccorso azzurro di Berlusconi. Perché anche se una vicesegretaria (Serracchiani) annuncia «l’impegno a coinvolgere tutte le forze in Parlamento», dunque senza un nuovo Patto del Nazareno, l’altro vicesegretario (Guerini) puntualizza subito che certo, si dialoga con tutti, «purché il cammino della riforma non torni al punto zero». E quale sia il «punto zero» lo ha detto chiaramente l’ex presidente Napolitano, che dal Quirinale sostenne le riforme istituzionali di Renzi: «L’elezione di futuri senatori a suffragio diretto e con metodo proporzionale». E invece i 28 dissidenti del Pd chiedono esattamente questo, con il loro emendamento, ovvero un Senato «eletto dai cittadini su base regionale, garantendo la parità di genere, in concomitanza con l’elezione dei Consigli regionali ». Saggiamente, il presidente dei senatori Pd, Luigi Zanda, ha avvertito che «la compattezza del gruppo Pd è l’elemento decisivo per la tenuta del quadro politico e della legislatura». La sua non era una rivendicazione orgogliosa, ma un’ammonizione ai dissidenti: se continuate a marciare per conto vostro rischiamo di andarcene tutti a casa.