Emanuela Minucci, La Stampa 8/8/2015, 8 agosto 2015
Addio a Maritè Costa la signora del Bicerin Emanuela Minucci «In quella stanza tre metri per cinque, foderata di legno odoroso di cera d’api, l’aroma caldo del cioccolato blandisce il pensiero»
Addio a Maritè Costa la signora del Bicerin Emanuela Minucci «In quella stanza tre metri per cinque, foderata di legno odoroso di cera d’api, l’aroma caldo del cioccolato blandisce il pensiero». Sono parole di Nietzsche. Ma il filosofo tedesco innamorato di Torino, non era il solo a mettere il turbo al Pensiero a colpi di Bicerin. C’era anche un signore che di nome faceva Camillo e di cognome Cavour che se ne stava spesso seduto a uno di quegli otto minuscoli tavolini in marmo. E la signora Maritè Costa, da oltre trent’anni l’anima di questo minuscolo e selettivo tempio del gusto ben lo sapeva. Sapeva, purtroppo, perché da ieri l’anima del Bicerin non c’è più. Con lei, a soli 67 anni, è scomparsa una profonda intenditrice di sabaude debolezze e ricette di gusto nordico, ma anche una donna dai modi unici, capace di salvaguardare la storia e il futuro del locale, lasciandolo intatto nella sua perfezione. La sua gioventù Originaria di Caluso, nel Canavese, Maritè Costa già da ragazza s’innamorò del piccolo locale fondato nel 1763 nel cuore del Quadrilatero Romano. «Mi piacque subito questo posto - raccontò nel 2013 - soprattutto per l’atmosfera che si respirava. Era un luogo raccolto e familiare, che non mi incuteva la soggezione di altri caffè cittadini». Da circa trent’anni lo gestiva lei, con l’amore che si riserva a un figlio. E questa dote le era riconosciuta dai clienti più affezionati come dai turisti che lo scoprivano proprio grazie al fatto che Maritè aveva fatto di tutto per inserirlo nelle guide. La storia di questo monumento alla convivialità ha radici lontane, se è vero che già nella seconda metà del Settecento, per la sua vicinanza alla chiesa della Consolata, era luogo prediletto dalla nobiltà che si riuniva qui per sorseggiare, dopo il digiuno che precedeva la comunione, una tazza fumante di cioccolata. Erano gli anni in cui si scoprivano le qualità del cioccolato, in uso soprattutto in Spagna e Francia, e del caffè, molto di moda a Venezia. Torino si trovava a ricevere entrambi gli influssi e leggenda vuole che sia così che, dopo anni di tentativi, nacque il famoso «bicerin», il «bicchierino», dal nome del contenitore in cui veniva servito uno dei simboli culinari del Risorgimento nazionale. Cavour ne era un patito, e De Amicis lo sorseggiava mentre scriveva «Cuore», ma anche gli altri torinesi lo apprezzavano a tal punto che si poteva trovare nei migliori caffè. Un caffè, la Storia Maritè Costa ha servito per oltre trent’anni la sua ambrosia color cioccolato in ariosi bicchieri di cristallo, al lume di candele accese fin dal mattino: «È una magia che caratterizza il locale - spiegò lei nel 2013 quando festeggiò i 30 anni di gestione - ci sono avventori che vengono solo per questo». E per lei, aggiungiamo noi. twitter@emanuelaminucci