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 2015  agosto 07 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL MILIONE DI EMENDAMENTI ALLA RIFORMA DEL SENATO


REPUBBLICA.IT
ROMA - Dopo l’annuncio di ieri di Roberto Calderoli e la presentazione di oltre 500 mila emendamenti da parte di un fronte politico trasversale, il percorso della riforma del Senato appare sempre più impervio. I voti favorevoli a un Senato elettivo sarebbero almeno 176. Una quota rilevantissima che ribalterebbe totalmente la maggioranza di governo di Renzi. Determinanti oltre alla minoranza dem anche i senatori del Gruppo per le autonomie guidato da Karl Zeller.
Dati alla mano questi sono i gruppi parlamentari che si sono espressi a favore del Senato elettivo: 45 di Forza Italia, 36 del Movimento 5 stelle, 25 dal gruppo misto (composto da esponenti di Sel, ex grillini e varie altre componenti, come gli ex leghisti, che già nella prima lettura votarono contro la riforma Boschi), 12 della Lega, 10 del gruppo fittiano conservatori e riformisti, almeno 8 0 9 dal gruppo Gal. Poi ci sono i 28 senatori della minoranza Pd e, l’altra novità di oggi, i 12 senatori del Gruppo per le autonomie che sostiene la maggioranza ma che hanno presentato emendamenti simili a quelli della minoranza pd. Il totale fa 176, a cui andrebbe aggiunto il senatore Vincenzo D’anna, in dissenso rispetto al suo gruppo, il neonato Ala che sostiene la riforma del governo, e che ha presentato un emendamento per il senato elettivo.

INTERVISTA DI CALDEROLI A REPUBBLICA
ROMA. "Facciano quello che vogliono. Andiamo in aula saltando il passaggio in commissione? Il mezzo milione di emendamenti diventerà un milione". A poche ore dalla scadenza per la presentazione degli emendamenti sul ddl di riforma costituzionale Roberto Calderoli, senatore del Carroccio, prepara la strategia per fermare l’azione dell’esecutivo di Matteo Renzi.

Davvero ha scritto di suo pugno 510 mila emendamenti?
"Sì, è tutta farina del mio sacco. Mi avvalgo anche del sostegno del personale degli uffici legislativi e di alcuni docenti universitari. E poi di una serie di volontari. Che pur di fermare le riforme lavorano gratuitamente".

Scusi, questo numero spropositato di emendamenti potrebbe facilitare il passaggio diretto all’aula per azzerare l’ostruzionismo.
"Il governo non sa che fra i 510 mila c’è anche un ordine del giorno che verrà prima di tutto il resto.

Cosa dice questo ordine del giorno?
"Ne ho presentato uno in cui si introduce l’elettività dei senatori, si ristabiliscono le funzioni del Senato, e, soprattutto, si reintroducono i pesi e i contrappesi per i motivi detti sopra. Perché altrimenti è una dittatura".

Se venisse approvato l’ordine del giorno farebbe dietrofront...
"Li ritirerei e ne lascerei soltanto quattro ".

Dunque il destino della riforma del Senato è appeso al suo ordine del giorno?
"Facciano quello che vogliono. Il mezzo milioni di emendamenti diventerà un milione in aula. A fronte di un milione di emendamenti la struttura di Palazzo Madama non riuscirebbe neanche a stampare. Per regolamento infatti il milione di emendamenti dovrà essere stampato e distribuito a ogni senatore. Non parlo a vanvera, io studio. Pensa te cosa succederebbe se andasse tutto in tilt? Sarebbe la fine. Così si va il voto".

Le viene da ridere?
"Certo, qui rischia che venga giù tutto. Volevano il bicameralismo paritario, e invece rischiano di far crollare Palazzo Madama. Le dico di più: quando presenterò gli emendamenti per l’aula chiederò un coinvolgimento della Sovraintendenza affinché valuti come un Palazzo di quel valore storico possa reggere quel carico di carta".

Qual è la via d’uscita?
"Posso suggerire una soluzione: dovranno mettere in Aula un gran bel maxi schermo e dotare tutte le 320 postazioni di monitor. Oltre a questo devono modificare il regolamento. Peccato che in giunta per il regolamento non abbiano più la maggioranza".

E’ il gatto che si morde la coda. Dica la verità: si è messo d’accordo con la minoranza del Pd?
"Non mi metto d’accordo con nessuno. È chiaro che noi la pensiamo alla stessa maniera non solo della minoranza del Pd, ma anche della maggioranza dei senatori renziani. Peccato non possano proferire parola. Ah, se i senatori potessero votare liberamente . Due terzi del Palazzo voterebbero come me.

Evoca anche lei il Vietnam?
"Macché Vietnam, per me il Vietnam è stata la guerra più inutile".

REPUBBLICA.IT
ROMA - Il cammino del ddl Boschi sulle riforme, che a settembre riprenderà da palazzo Madama, è destinato ad essere impervio. Almeno a giudicare dall’enorme mole di emendamenti presentata in Senato nelle ultime ore: un fronte ampio ed eterogeneo che mira ad un’unico fine, quello di arrivare al Senato elettivo. In tutto all’esame della Commissione Affari Costituzionali sono stati presentati ben 513.450 emendamenti, una cifra record, secondo quanto reso noto in un tweet da Palazzo Madama. Una sorta di fronte antirenzi che racchiude tutte le opposizioni più 28 Senatori della minoranza Pd. Ma Matteo Renzi si mostra tranquillo: "La maggioranza non è mai mancata e mai mancherà, vedendo i numeri".
Ieri era stata la Lega Nord, con Roberto Calderoli, ad annunciare "mezzo milione" di emendamenti (per la precisione 513.450). Proprio il senatore leghista, in un post su Facebook, ha annunciato di aver preparato, per l’esame dell’aula, 6.5 milioni di emendamenti "per affossare la riforma, la legislatura e mandare finalmente a casa il capitan Fracassa Renzi".
Agli emendamenti leghisti vanno aggiunti quelli presentati da Sel, 1043, più altri venti dalla componente del Gruppo Misto ’L’altra Europa per Tsipras’. Poi ci sono quelli di Forza Italia, 1075, tra cui alcuni per l’elezione diretta dei senatori, volti, secondo quanto spiegato dal capogruppo azzurro al Senato Paolo Romani, a restituire "legittimazione" e "rappresentatività" al Senato.
Anche un membro di Ala (la nuova formazione di Denis Verdini), Vincenzo D’Anna, ha presentato un suo emendamento per un Senato composto da 157 senatori, più 5 di nomina presidenziale, eletti con "suffragio universale e diretto". Si tratta tuttavia di una presa di posizione a titolo personale, chiariscono i verdiani. Sono invece 194 le proposte di modifica del M5S: i Cinque Stelle insistono soprattutto per modifiche sostanziali al criterio di elettività del Senato e di bilanciamento dei poteri tra governo e Parlamento. Da Area popolare giungono 11 emendamenti, da Fare (i senatori vicini a Flavio Tosi) 259, dal Gruppo delle Autonomie (nelle cui fila non mancano esponenti favorevoli al Senato elettivo, come riferito dal senatore socialista Buemi) 45.
Ma le proposte su cui sono puntati i riflettori sono quelle della minoranza dem, che ha presentato 17 emendamenti, tra i quali ci sono richieste di modifica all’articolo 2 sulla composizione ed elezione del Senato, di modifica delle funzioni del futuro Senato e sull’elezione del presidente della Repubblica. Un fronte così ampio, quello dei favorevoli al Senato elettivo, da far dire al senatore dem dissidente Vannino Chiti che "vi sarebbero le condizioni per un’intesa ampia" su questa modifica. Secondo un primo, teorico, conteggio un Senato eletto direttamente dai cittadini può contare su una base iniziale di almeno 141 senatori sommando minoranza Pd, gruppo delle Autonomie, Sel, M5S, Forza Italia, Lega e il senatore D’Anna di Ala.
Sono invece 46 gli emendamenti presentati da singoli senatori del Pd, non espressione della minoranza dem, che però non riguardano modifiche sostanziali dell’impostazione attuale del testo del ddl. "Il Senato della Repubblica è eletto dai cittadini su base regionale, garantendo la parità di genere, in concomitanza con la elezione dei Consigli regionali" si legge nel testo di una delle tre proposte di modifica della minoranza dem. "Il fatto nuovo è una legge elettorale in cui si arriva, purtroppo, ad un Camera dominata da un solo partito e fatta prevalentemente di nominati. Con quella legge elettorale lì, c’è bisogno di un Senato in cui si restituisca la parola ai cittadini per scegliere i senatori" ha affermato uno dei leader della minoranza dem Roberto Speranza. I numeri, dunque, per l’approvazione della riforma senza stravolgere l’impianto votato nella prima lettura a marzo, incominciano a essere incerti.
Nel dibattito sulle riforme interviene il vicesegretario dem Debora Serracchiani: "Siamo impegnati su un cammino di riforme talmente importante che se le altre forze politiche vorranno discutere saremo sempre disponibili. Se vorranno, parteciperanno. Non è un patto del Nazareno ma un impegno a coinvolgere tutte le forze in Parlamento", ha affermato il governatore del Friuli Venezia Giulia. Un chiaro richiamo alla possibilità di una nuova trattativa sulle riforme con Forza Italia, come riportato oggi su Repubblica, anche se Serracchiani ha escluso un Nazareno 2.0 parlando invece di "un impegno e una responsabilità di fronte al Paese e a tutte le forze politiche".
Un concetto ribadito anche dall’altro segretario dem, Lorenzo Guerini, che ha sottolineato: "Paletti molto chiari definiscono la procedura di riforma costituzionale. Siamo sempre disponibili a confrontarci e portare miglioramenti al testo ma diciamo che sono possibili cambiamenti purchè non riportino al punto zero il cammino della riforma. Speriamo vi sia la responsabilità di tutti le forze politiche per arrivare alla fine di questo percorso".
Le riforme saranno al centro anche alla festa nazionale dell’Unità, che si svolgerà a Milano dal 25 agosto al 6 settembre, dove saranno presenti tutti i ministri del governo e le forze dell’opposizione "perchè la festa è dedicata alle riforme e vogliamo che si sviluppi un dibattito ampio", ha spiegato Serracchiani, in una giornata caratterizzata anche dalla direzione Pd dedicata alle politiche per il Mezzogiorno e alla Rai, dopo l’elezione del Cda dell’azienda di viale Mazzini e la nomina di Monica Maggioni alla presidenza.
Il tema delle riforme è anche uno degli argomenti della tradizionale lettera di saluto prima delle ferie del capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda: "Sulle senatrici e i senatori del Partito democratico pesa una parte molto consistente della responsabilità di tenuta di questa difficile e critica legislatura. Senza il vostro lavoro in commissione e in aula, non saremmo mai potuti arrivare all’approvazione di tanti e importanti provvedimenti". Poi Zanda chiede ai senatori, anche in vista dell’esame dell ddl Boschi sulle riforme, di "mantenere un forte impegno di collegialità" e a "fare ogni sforzo possibile affinchè i temi più spinosi vengano affrontati e risolti in commissione. Abbiamo capito che trattare direttamente in aula i nodi politicamente più delicati produce, fatalmente, disordine politico, confusione tra maggioranza e opposizione e, per di più, nessun risultato nel merito".

ANSA.IT
QUESTIONE RIFORME
E’ scaduto alle ore 13 il termine per la presentazione degli emendamenti al disegno di legge sulla revisione della Parte II della Costituzione, all’esame della Commissione Affari Costituzionali. Ne sono stati presentati 513.449. E’ quanto rende noto il Senato.

Gli emendamenti presentati alla riforma della Costituzione sono 513.450. Il gruppo che ne ha presentati di più è la Lega Nord mentre ai cosiddetti verdiniani va il record per il numero più basso. L’elenco completo dei numeri è disponibile sul sito del Senato a cui è possibile accedere anche tramite l’account twitter di palazzo Madama. Di seguito la ripartizione completa tra i vari gruppi: - Lega Nord: 510.293 - Forza Italia: 1.075 - Gruppo Misto, componente Sel: 1.043 - Gruppo Misto, componente Fare: 259 - Gruppo Grandi Autonomie e Libertà: 215 - Movimento 5 Stelle: 194 - Conservatori e Riformisti: 124 - Gruppo Misto, componente Movimento X: 75 - Partito Democratico: 63 - Gruppo per le Autonomie (Svp - Iv - Patt -Upt)Psi - Maie: 45 - Gruppo Misto: 30 - Gruppo misto, componente l’Altra Europa con Tsipras: 20 - Area Popolare (Ncd-Udc): 11 - Alleanza Liberalpopolare Autonomie: 3.

Serracchiani, Nazareno? No,dialogo con tutti - "Siamo impegnati su un cammino di riforme talmente importante che se le altre forze politiche vorranno discutere saremo sempre disponibili. Se vorranno, parteciperanno. Non è un patto del Nazareno ma un impegno a coinvolgere tutte le forze in Parlamento". Così risponde Debora Serracchiani a una domanda sul dialogo con Fi sulle riforme.

Chiti, numeri per intesa su Senato elettivo - "Importanti le parole del senatore Buemi sull’emendamento di 12 componenti del gruppo Autonomie per un Senato eletto direttamente dai cittadini. 28 senatori Pd e 12 del gruppo delle Autonomie - in maggioranza - Sel e M5S, Lega e Fi si ritrovano su questa impostazione. Vi sarebbero dunque le condizioni per un’intesa ampia". Lo afferma il senatore Vannino Chiti della minoranza Pd.

MONICA GUERZONI SUL CORRIERE DI STAMATTINA
ROMA Guai a dire che la minoranza ha piazzato 17 mine sul terreno della riforma costituzionale, perché i «ribelli» si offenderebbero assai. Ma in giorni di metafore belliche incrociate, è così che il fronte renziano potrebbe accogliere le proposte di riforma depositate dai dissidenti di Palazzo Madama. E che Miguel Gotor, in nome del «riformismo mite dei cattolici democratici e dei socialisti europei», offre a Renzi come antidoto alla guerriglia permanente.
«Noi crediamo nel processo riformatore — assicura il senatore — ma poiché il muro contro muro può metterlo a rischio invitiamo il premier a cercare, con prudenza politica, un accordo preventivo sulla via indicata con saggezza dal presidente Grasso». È la proposta di un patto di non belligeranza, che scongiuri il patatrac: «Sarebbe un grave errore non cogliere questa opportunità storica, magari per impuntature caratteriali. Renzi vuole davvero cambiare la riforma? E con quali voti? Con quelli di Verdini e degli amici di Cosentino, secondo la peggiore tradizione del trasformismo italico, o con la spinta riformatrice dell’intero Pd?». Eccoli dunque, i 17 emendamenti firmati da un numero variabile di senatori che va da 26 a 28. Il primo riguarda l’articolo 1 e restituisce ai senatori competenze in materia di Europa. Ma il più importante è quello all’articolo 2, che reca in calce 28 firme: Gotor, Migliavacca, Broglia, Casson, Chiti, Corsini, d’Adda, Dirindin, Fornaro, Gatti, Giacobbe, Guerra, Guerrieri, Lai, Lo Giudice, Manassero, Manconi, Martini, Micheloni, Mucchetti, Mineo, Pegore, Ricchiuti, Ruta, Sonego, Tocci, Tronti e Turano.
«Il Senato della Repubblica — è il passaggio che farà infuriare il Pd di governo — è eletto dai cittadini su base regionale, garantendo la parità di genere, in concomitanza con la elezione dei consigli regionali». È il punto più controverso della riforma, sul quale potrà realizzarsi una «convergenza larga» con M5S, Forza Italia, Sel, Lega e non solo. «L’articolo 2 sarà votato dall’Aula, perché le versioni di Senato e Camera non sono identiche — avverte Gotor —. Per evitare di mettere a repentaglio il processo riformatore consigliamo di emendarlo». Volete azzerare tutto e ripartire da capo? «È un argomento falso, un paradosso propagandistico. Con un accordo basterebbero pochi accorgimenti per far proseguire il processo riformatore». La mediazione del governo prevede l’elezione indiretta con un «listino a scorrimento», idea che Gotor boccia senza appello: «È un pastrocchio. Così il Grande Nominatore sceglierebbe anche i senatori, magari tra quei consiglieri regionali che hanno bisogno dell’immunità... La politica non è il gioco del Monopoli».
All’articolo 10 Corsini e altri 27 chiedono che alcuni temi qualificati restino di competenza bicamerale, senza però tornare al bicameralismo paritario: libertà religiosa, amnistia e indulto, fine vita, diritti delle minoranze e legge elettorale nazionale. «Vogliamo evitare che il vincitore del premio di maggioranza — spiega Gotor — si ritocchi a proprio piacimento il sistema di voto». E qui il senatore che, in tandem con Chiti, guida i dissidenti, ricorda come «tante volte nei momenti di crisi le minoranze hanno segnato un limite al conformismo». Il mantra di Bersani contro l’uomo solo al comando? «Noi non abbiamo paura del tiranno, dell’uomo nero o della svolta autoritaria, come superficialmente ci viene rimproverato — assicura Gotor —. Il problema è separare le istituzioni dalla politica, perché i salvatori della patria passano e il sistema, già fragile, resta».
L’emendamento all’articolo 13, 26 firme, propone che il sindacato preventivo sulla legge elettorale scatti in automatico. E quello all’articolo 20 chiede per i senatori poteri di verifica, controllo e inchiesta. All’articolo 37 la minoranza ripristina la norma secondo cui due giudici della Corte costituzionale sono scelti dal Senato e, all’articolo 21, ampliano la platea dei grandi elettori del capo dello Stato, perché «il vincitore del premio non può scegliere quasi da solo chi mandare al Quirinale». E qui Chiti propone 200 sindaci eletti proporzionalmente dal Consiglio delle autonomie locali oppure, la stessa platea rafforzata dai parlamentari europei. E ci sono anche due emendamenti Casson all’articolo 7, che cambiano l’immunità per i parlamentari.
Monica Guerzoni

GRASSO SUL CDS DI STAMANE
ROMA A un anno esatto dal primo via libera alla riforma del Senato, con le stesse torride temperature agostane, Pietro Grasso sembra finito di nuovo nel mirino del fronte renziano. L’apertura della seconda carica dello Stato a «possibili modifiche dell’articolo 2» ha fatto scattare l’allarme al Nazareno. Tanto che due giorni fa, in commissione Affari costituzionali, Maria Elena Boschi e Anna Finocchiaro hanno blindato la riforma, stoppando chi mai pensasse di riportarla al binario di partenza.
E così ieri l’inquilino di Palazzo Madama si è visto (suo malgrado) costretto a far trapelare lo stato d’animo presidenziale: «La scelta finale, nel caso in cui la riforma arrivasse in Aula al Senato senza correzioni, spetta solo al presidente del Senato». Monito esplicito, con il quale la seconda carica dello Stato invita il leader del Pd a trovare un «accordo politico alto», un’intesa solida che salvi le riforme: «Spero che la politica lavori bene prima e trovi un vero accordo sui contenuti, senza perdersi in norme, codicilli e precedenti».
A Grasso non è ovviamente sfuggito l’intervento di Napolitano sul Corriere , e, con i collaboratori, il presidente ha osservato come «l’opinione di ciascun senatore è importante». Lo stesso presidente emerito ha voluto chiarire che, se qualcuno ha scorto nella sua lettera un riferimento polemico a Grasso, si è trattato «di un abbaglio, se non di una gratuita alterazione dei fatti».
Il problema politico però resta. E l’inquilino di Palazzo Madama fa capire di non avere nessuna voglia di finire nell’angolo, schiacciato dal pressing del primo partito di governo. Non a caso Grasso ricorda di aver «espresso chiaramente» il suo pensiero giorni fa, durante la cerimonia del Ventaglio. In occasione del saluto di mezza estate con la stampa aveva spronato gli addetti ai lavori a sbrogliare in fretta la matassa dell’articolo 2: «Spero che questo nodo venga sciolto già in commissione». Dove però la presidente Finocchiaro, premesso che «ogni decisione sull’ammissibilità degli emendamenti» dovrà trovare d’accordo il presidente Grasso, ha anche messo in guardia dal rischio calende greche.
Come uscirne? Se i renziani tirano Grasso per la giacca, lui incalza i «dem» perché si mettano d’accordo e trovino una soluzione al loro interno. La via d’uscita c’è, suggerisce il presidente. E ricorda come la stessa Finocchiaro abbia parlato di «modifica puntuale» apportata con un emendamento all’articolo 2, prima in commissione e poi in Aula. La modifica riguarda due preposizioni, «dai» e «nei» e ha provocato una «palese contraddizione» tra le due letture.
È il cavallo di Troia che potrebbe consentire quegli «interventi doverosi» a una riforma che anche Grasso, come Renzi, ritiene «non più rinviabile». Ma a passare da frenatore il presidente non ci sta. E insiste nel dire che cercare «un’intesa sui contenuti» invece che andare a caccia dei «singoli voti» non richiede di allungare i tempi .
M. Gu.