Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 07 Venerdì calendario

RITRATTI DI DENI VERDINI

Singolare incrocio di doppia personalità, Denis Verdini, tra il Sassaroli della Supercazzola di Monicelli e il Padrino di Mario Puzo. Sdoppiamento nel quale ama crogiolarsi: «Io di cuori ne ho due... come qualcos’altro». Alquanto generoso con se stesso, per la verità, l’uomo che inventò il patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi e che, abbandonato il Pinocchietto di Arcore, si candida a costruire il renziano Partito della Nazione o, quantomeno, a tenere in vita finché si può il governo dell’amico fiorentino, che in privato vanta di avere «scoperto» fin da quando portava i calzoni corti. E non siamo affatto su Scherzi a parte, come ha motteggiato tristemente Pierluigi Bersani.
Sul battito dei due cuori gemelli di Denis, chi lo conosce da una vita si permette di dubitare fieramente, preferendo attribuirgli peculiarità un po’ meno nobili. Un ex deputato Pdl intervistato da Marco Damilano lo ha descritto così: «Verdini è un amorale, un personaggio da film di Tarantino, uno che ti ammazza mentre indossa lo smoking. Simile a Renzi». Le carte giudiziarie non sembrano dare torto a chi descrive che cosa in realtà gli batte in petto fin dai tempi in cui, macellaio, si narra che imbellettasse un po’ le bolle d’importazione dei quarti di bue. Al momento - ma la contabilità cambia di giorno in giorno - il compagno Verdini è sottoposto a cinque procedimenti, rinviato a giudizio per corruzione, finanziamento illecito, bancarotta fraudolenta, associazione a delinquere, truffa. Reati di cui è accusato per vicende di natura diversa, ma tutte ad alto tasso di illegalità, secondo l’accusa: dall’appalto per il Palazzo dei Marescialli a Firenze, alla P3, la nuova loggia di Bisignani e relativa compagnia cantante, dalla bancarotta fraudolenta del Credito Cooperativo Fiorentino, suo bancomat personale, a quella di Toscana Edizioni, fino alla miracolosa vendita di un palazzo a Roma in via della Stamperia con un profitto di diciotto milioni nell’arco di dodici ore.
Ma la carriera giudiziaria di Denis viene da ben più lontano e in qualche caso rivela anche le sue doti Supercazzola. Un censimento sommario porta a venti (compresi i cinque attuali) i processi fin qui subiti, salvo errori od omissioni. Almeno uno di questi addebitabile al doppio cuore. Invaghito di un’avvenente correntista della sua banchetta personale, forse si spinse un po’ oltre e quella lo accusò di averle usato violenza. Subitaneamente assolto per il falso stupro, ma condannato per rivelazione del segreto bancario, violazione della privacy e diffamazione, riuscì a dimostrare che al momento dei fatti lui si trovava in chiesa. Sì, per un funerale. Virile è virile: «Non vorrei che si dicesse che oltre che massone sono gay», ha proclamato, perpetuando l’ossessione omosessuale che si è manifestata con lo scandalo della Cricca nelle alte sfere politico-affaristiche della destra.
Per Giuliano Ferrara, che ha avuto Denis tra gli azionisti-finanziatori del Foglio insieme alla consorte di Berlusconi, l’uomo di Fivizzano, lo stesso paesino che vide i natali di Sandro Bondi, in fondo non è che un coprotagonista della parabola di Nonna Abelarda, come dire un’innocua bocciofila di sfigati, come a suo tempo fu definita la P2 di Licio Celli. Ah, l’ingratitudine. Giuliano ha potuto esistere comodamente tanti anni, da Craxi in poi, ben assiso nel salotto di Nonna Abelarda, tra ceffi di ogni natura. L’incontro fatale avviene nel 1997 quando Ferrara si candida contro Antonio Di Pietro nel Mugello e Denis si offre di dargli una mano e di pagare parte della campagna elettorale. Partecipa alla sfida anche la compagna Maria Simonetta Fossombroni, che cura la Fondazione Giovanni Spadolini a Pian dei Giullari, dove la coppia vive in una magione da sogno. A Ferrara va male, ma Denis decolla.
Della ex banchina dei preti, di cui è diventato presidente, fa macelleria creditizia, come accertano gli ispettori della Banca d’Italia, attraverso sessanta tra conti con enti, carte di debito e di credito, deposito titoli, garanzie, operazioni extra conto. Dei 44 milioni di patrimonio, una quarantina vanno alla compagna Maria Simonetta, al fratello Ettore, alle società di famiglia, agli amici, soprattutto a Riccardo Fusi, quello dell’appalto sulla Scuola dei Marescialli, e - poteva mancare ?- a Marcello Dell’Utri.
Eletto alla Camera, incontra Sandro Bondi, confidente del capo e ministro dei beni culturali, autoproclamandosi «manutengolo del cameriere di Berlusconi». Entrambi di Fivizzano, un paesotto di settemila abitanti in provincia di Massa Carrara, dicono che non si conoscevano finché non sono approdati in Parlamento, dove hanno scoperto la corrispondenza d’amorosi sensi. L’uno grassoccio, liscio, curiale, cattolico, poeta e storico da bar, l’altro massiccio, roco, laico e, nonostante le sue smentite, accreditato di far parte della massoneria, tanto che l’ex Gran Maestro Gustavo Raffi lo accusò di aver maneggiato contro di lui. Sembrano usciti da Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno.
Ma Denis-Bertoldo su Matteo Renzi non ha sbagliato. Vecchio amico del padre Tiziano Renzi, che distribuiva giornali in Toscana, si cura il giovanetto Matteo, soprattutto quando questi diventa presidente della provincia di Firenze. Trova in lui le migliori caratteristiche di Berlusconi giovane: lingua sciolta, disinvoltura, spregiudicatezza, nessun fardello ideologico. Così nel 200.5 - badate, sono passati dieci anni - lo accompagna da un Berlusconi nel massimo della incazzatura per essersi fatto trascinare a una manifestazione fallita a Firenze e glielo presenta così: «Non è dei nostri, ma è bravo». Con B. è quasi un colpo di fulmine. Quando Matteo si presenta alle primarie per correre da sindaco di Firenze nei gazebo vengono segnalate evidenti presenze delle truppe cammellate del Verdini. Che nelle elezioni gli contrappone l’ex calciatore della Fiorentina Giovanni Galli, destinato a sconfitta sicura.
Denis cresce, cresce, cresce. Berlusconi gli affida la scelta dei candidati alle elezioni, ruolo di potere senza pari. Inventa il nuovo Manuale Cencelli, dal nome dell’antico funzionario democristiano, per assegnare le cariche, che da allora divenne Manuale Verdini. «In fondo» disse con finta modestia, «si tratta soltanto di mettere il cento dentro il dieci». Non c’era nomina che non transitasse nel Palazzo Pecci Blunt, in piazza dell’Ara Coeli, proprio di fronte al Campidoglio, tra damaschi, tendaggi, sedie cardinalizie, soffitti affrescati. Candidature e nomine negli enti pubblici e nelle società private, con Luigi Bisignani che provvedeva a informare Gianni Letta, il quale cominciava persino a sentirsi insidiato nel suo ruolo di padre nobile della politica intrecciata con gli affari più biechi. Come il dossier fabbricato ad arte sulle abitudini sessuali di Stefano Caldoro, allora candidato alla presidenza della regione Campania, che Denis recò personalmente come una reliquia a palazzo Chigi, nella certezza di favorire così un gentiluomo come Nicola Cosentino. Il quale sotto i soffitti affrescati dell’Ara Coeli era un pezzo da novanta.
Il patto del Nazareno è storia recente, di cui Denis fu certamente il mago, anche se nell’unico frammento fotografico di quel giorno si vede solo Gianni Letta che si affaccia dalla scala della sede del Pd per mettersi a favore di telecamera, come ormai fa in tutte le più minute occasioni pubbliche, alla stregua di un pensionato negletto che non sa come occupare i tristi pomeriggi. Un potere immenso e incontrollato che sfugge ormai dalle mani.
Maledetto quel giorno che l’elezione di Mattarella al Quirinale fece crollare un patto così perfetto nella sua ambigua equivocità. Berlusconi vacilla stordito come ostaggio di quel che resta di un gineceo che sorregge un pugile finito, Denis se ne va verso la nuova missione impossibile con la griffe di Matteo Renzi. Ormai niente sembra più inverosimile.
Vedrete che di Verdini e della sua schiatta sentiremo parlare ancora a lungo. Posto che le colpe dei figli non ricadono sui padri (ma quelle dei padri sì) ne fa fede l’insolenza di Verdini junior, 25 anni, che due mesi fa ne ha combinata una così fragorosa da far impallidire persino il pudico e educatino papà. Il giovanotto parcheggia la Mercedes in piena piazza Strozzi. Quando torna la trova bloccata dalle ganasce. E che fa? Chiama i vigili e paga la multa? No, smonta le ganasce e se le porta via. Ecco la mite newgeneration verdiniana.
No, come direbbe Beisani non possiamo rimettere il dentifricio nel tubetto. E non siamo su Scherzi a parte.
Alberto Staterà