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 2015  agosto 06 Giovedì calendario

ARTICOLI SU MONICA MAGGIONI DAI GIORNALI DEL 6/8/2015


PAOLO CONTI, CORRIERE DELLA SERA –
Quando esordì in video con la conduzione di «Unomattina», parliamo del lontano maggio 1998, la Rai ribollì. Fu l’allora direttore del Tg1, Marcello Sorgi, a scegliere quella sconosciuta neoassunta dopo anni di precariato per «gettare un sasso nello stagno». Le reazioni (proteste sindacali, dimissioni del comitato di redazione del Tg1) furono roventi, come quella di Antonella Clerici: «Sarà anche brava ma è una miracolata». Cinque anni dopo, intervistata su «Sette» nell’agosto 2003 da Claudio Sabelli Fioretti, non mostrò alcun rancore: «Aveva ragione. Fui molto fortunata».
Il carattere della neopresidente Rai è un po’ tutto lì. Nell’evitare scontri pubblici, nello scansare le trappole che scattano a viale Mazzini e a Saxa Rubra quando qualcuno procede con assoluta ed esplicita determinazione, sapendo di allungare la lista dei nemici che parlano di arrivismo, di carrierismo, di mancanza di scrupoli.
La presidente Maggioni, classe 1964, viene da una famiglia che lei definisce «non privilegiata»: madre impiegata di amministrazione a Il Giorno, padre operaio e sindacalista «duro» alla Pirelli Bicocca. Da loro ha imparato un’etica molto precisa: «Con l’impegno e il sacrificio si può ottenere ciò che si vuole, io ho sempre lavorato come un mulo».
Le prime collaborazioni ai giornali risalgono ai 16 anni. Poi, nel 1992, la selezione per il master in telegiornalismo alla neonata scuola di Perugia, due anni di lavoro a Euronews, i primi contratti a tempo determinato a Rai Uno (TvSette), l’assunzione e la conduzione immediata di «Unomattina». L’anno dopo è già impegnata in reportage dall’estero: Sudafrica, Mozambico. Ancora «Unomattina» nel 2000 e poi di nuovo in giro per il mondo: Israele, Medio Oriente, Stati Uniti. Nel 2003 è al centro dell’ennesima polemica. È l’unica giornalista italiana «embedded», ammessa tra i militari Usa per raccontare la seconda Guerra del Golfo dal loro punto di vista. La accusano di aderire acriticamente alla logica Usa ma lei respinge l’attacco: «Senza essere “embedded” non avrei mai potuto raccontare un pezzo di mondo, un angolo di guerra che altrimenti non si sarebbe visto. Trovo insopportabile che quella parola venga usata come il velinaro di una volta». E per difendere quei due mesi di servizi Rai scrive «Dentro la guerra-Il conflitto iracheno raccontato da una reporter al seguito dei militari americani», edito da Tea.
Copre la guerra da Baghdad fino al gennaio 2005. Approda all’ambitissima conduzione del Tg1 delle 20 nel febbraio 2007.
Nel frattempo la schiera degli avversari si irrobustisce perché la carriera non si ferma: caporedattore Esteri del Tg1 (2009), capo degli Speciali del Tg1 (2010). Simpatie politiche? Argomento complesso. Radici a sinistra, soprattutto per l’eredità paterna. Ma il lungo legame sentimentale con il giornalista Gian Micalessin, oggi editorialista de Il Giornale e da giovane militante del Fronte della Gioventù a Trieste, la mette in contatto con altri universi. La sua firma appare nel 2011 sotto il «documento dei 90» a favore dell’allora direttore del Tg1, Augusto Minzolini.
Però nel 2012, quando si tratta di moderare in prima serata su Raiuno il 28 novembre il faccia a faccia Pier Luigi Bersani-Matteo Renzi al secondo turno delle primarie del centrosinistra, i due candidati concordano sulla sua conduzione. Risultato: 6.5 milioni di ascoltatori. Lei ironizza: «Mi viene da ridere, sono ascolti da Canzonissima». Nel gennaio 2013 la direzione di Rainews 24 più Televideo nel quadro della riorganizzazione firmata dal direttore generale uscente Luigi Gubitosi: due principali testate giornalistiche (newsroom) nel futuro Rai, una imperniata sul Tg1 e l’altra su Rainews24. Inevitabili gli scontri interni, soprattutto in area Tg3. Il direttore Bianca Berlinguer boccia il piano Gubitosi, e nei corridoi Rai si parla di un duello per la guida della newsroom 2 proprio con la Maggioni, ma le due smentiscono.
L’ultima scelta editoriale forte di Maggioni a Rainews24 è la decisione di non mostrare più i terribili filmati dell’Isis: «Noi non vogliamo diventare parte della loro propaganda. Anche perché ci chiediamo dove arriveranno». Nel suo ultimo libro uscito pochi giorni fa da Laterza («Terrore mediatico») riprende il tema e si rivolge ai colleghi giornalisti: «Non siamo lo specchio della società, agenti incolpevoli della riproduzione del reale. No, spesso siamo parte del farsi della scena. Costruiamo pensieri privati e reazioni collettive. Alimentiamo dibattiti e spegniamo sensibilità. Illuminiamo volti e nascondiamo mondi». A viale Mazzini c’è chi assicura che la presidenza Maggioni sarà sorprendente. Si vedrà.

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MARIO AJELLO, IL MESSAGGERO –
Dopo tante guerre da inviata sul campo, ora la Maggioni diventa il Generale Monica. Quando le dicono «ce l’hai fatta», ma la notizia della sua nomina alla guida della Rai non è ancora ufficiale, lei ha in testa un foulard orientale e indossa la veste lunga. E’ vestita come una donna iraniana, e da Teheran risponde al telefono. «Ce l’ho fatta in che senso?». La sua voce si sente e non si sente, sta al ministero del petrolio iraniano, con la delegazione italiana guidata dal ministro Gentiloni. Gianni Letta ha facilmente convinto Berlusconi a scegliere il petalo Monica nella rosa che Renzi ha trasmesso all’ex collega del Patto del Nazareno che s’è rotto ma in parte, magari occasionalmente, s’è ricostituito intorno alla scelta della Maggioni. E insomma: pronto? «Non so, sto guaggiù, tra poco - dice lei - prendiamo l’aereo e torniamo a Roma». Appena atterra, il telefonino funziona. E adesso? «Adesso per la Rai - ecco il manifesto programmatico del Generale Monica - è il momento di correre».
MISSION
Era partita da Roma come direttrice di RaiNews 24 ed è tornata - la notizia diventa ufficiale mentre lei è in volo - come presidente di Viale Mazzini. Il fatto che sia stata nominata qui mentre lei sta in un’altra parte del mondo è forse quello che più le fa piacere: è come la riprova della sua vocazione ad essere glocal. E comunque quando è in volo dall’Iran e sta per atterrare sul Settimo Piano la sua «enorme gioia» non è certo un’«illogica allegria / di cui non so il motivo / non so che cosa sia», come nella canzone di Francesco Guccini, il suo cantautore prediletto.
Ma come sarà adesso il servizio pubblico al tempo di Monica la trasversale, nata in una famiglia milanese di sinistra - padre sindacalista duro alla Pirelli-Bicocca e madre che lavorava all’amministrazione del Giorno, ai tempi in cui quel giornale era grande e progressista - e però, una volta cresciuta, mai stata schierata a sinistra e mai appartenuta al cosiddetto Partito Rai fucina di carriere tutte politico-corporative al contrario di quella dell’attuale direttrice di RaiNews? La Maggioni ha la chiara percezione che la Rai ha bisogno di una scossa. Sia dal punto di vista organizzativo sia dal punto di vista editoriale. A suo modo lei una scossa l’ha data quando introdusse nella palude delle pause-pranzo e delle troupe sovradimensionate lo zainetto. Ovvero, una sacca che contiene un sistema con tesserina sim che consente al giornalista di fare qualsiasi collegamento evitando la trasmissione via satellite e risparmiando molti soldi e molti passaggi. Fu presa male da tutti l’introduzione di questa tecnologia - e per di più: israeliana! - ma poi ci si sono abituati. Il neo-generale Monica, pupilla del dg uscente Gubitosi, unica giornalista italiana embedded nell’esercito Usa durante la guerra in Iraq, è un tipo tosto. Non ha un carattere facile, però capisce dove sta il punto di mediazione. E dal Settimo Piano ne dovrà fare tante. «Io sono abituata - dice di sè - a guardare all’essenza delle cose. Se non dici cazzate, ti ascolto. Se dici cazzate, no». Chissà che fatica sarà applicare questa dottrina con persone alla Guelfo Guelfi, l’amico toscano di Renzi piazzato nella Rai che di toscani, in altri tempi, aveva Ettore Bernabei. E comunque, la Maggioni doveva andare a guidare una delle due newsroom previste dalla riforma e invece è andata più su. Ed è convinta di questo: «Ciò che può e deve essere garantito è il pluralismo. Ossia un racconto inclusivo, aperto a tutte le voci e a tutte le anime del sistema politico e dunque della composita società italiana». La Maggioni ha avuto la fortuna di essere appassionata di esteri, e ciò le ha permesso di non essere embedded - come tanti altri - di questo o di quel partito. In Rai è entrata per concorso, dopo aver frequentato la scuola di Perugia: stesso corso di Giovanni Floris e di Gerardo Greco.
IDENTITA’
La sua 500 è nera. Un indizio politico? Ma figuriamoci. La sua abitazione è in via Ciancaleoni, a Monti, rione radical chic: indizio opposto? Macchè. Destra e sinistra sono temi che non la appassionano. Meglio ricordare, oltre alle guerre, all’intervista ad Assad, agli speciali, ai documentari, la diretta fiume che la Maggioni ha condotto il giorno della strage di Charlie Hebdo o il rifiuto a trasmettere i truculenti video dell’Isis. La sua convinzione è che «stare fermi significa decidere che la Rai diventa residuale».
Difficile che una tipa così si farà avvolgere dai ritmi felpati e dai riti paludosi del vecchio mondo Rai, ma per sopravvivere le toccherà essere più combat di quando stava in Iraq.
Mario Ajello

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ANNA MARIA GRECO, IL GIORNALE –
Cercavano un personaggio non schierato a destra o a sinistra per la presidenza Rai. Un tipo che possa ottenere un consenso ampio, come Paolo Garimberti che nel 2009 fu eletto all’unanimità durante l’ultimo governo Berlusconi. Ma rigorosamente donna, che piaccia a Matteo Renzi e al leader di Fi. Dal loro patto trasversale nasce la designazione di Monica Maggioni al vertice di viale Mazzini.
Quando succede lei è a Teheran, in un incontro al ministero iraniano del petrolio, insieme al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, amico della direttrice di Rainews 24 quasi quanto del premier.
Brianzola, 51 anni, laurea in Lingue e letterature straniere moderne alla Cattolica di Milano e master di giornalismo radiotv, la Maggioni ha fatto in Rai una carriera sempre in ascesa, riuscendo nella difficile arte di non farsi etichettare politicamente. In un’azienda in cui per tradizione sale chi ha forti sponsor di partito, lei è capace di tessere buone relazioni con tutti, mediando, trattando. Forse è questa la sua grande qualità, la novità che ne farà un presidente «di garanzia», diverso da com’è stata Lucia Annunziata, ben più legata alla politica. Si è messa in luce soprattutto come inviata di guerra in Irak e in questi mesi, da direttore di Rainews 24,ha sfidato l’Isis annunciando in un editoriale che non avrebbe più trasmesso i filmati del terrore.
Chi la conosce bene la descrive con una gran voglia di arrivare, una forte volontà e passione per il giornalismo, altrettanta capacità nel tessere rapporti personali, al di là delle ideologie. Un carattere determinato che le attira in Rai invidie e gelosie, anche nemici giurati.
A viale Mazzini entra nel ’96, un anno dopo essere diventata professionista. Prima ha collaborato con Il Giorno e ha fatto pratica ad Euronews, canale tv satellitare paneuropeo. Inizia al rotocalco di Rai 1 Tv7, si occupa di cronaca ed esteri al Tg1, si fa conoscere dal grande pubblico nel 1998 conducendo Uno mattina Estate, poi inizia a viaggiare: reportage in Sudafrica per le elezioni del dopo-Mandela, in Mozambico per l’alluvione, in Israele per la seconda Intifada, negli Stati Uniti per le elezioni presidenziali del 2000. E lì, quando tutti annunciano la vittoria di George W. Bush, è la prima ad accorgersi del pasticcio dei voti in Florida che porta a lunghi ricorsi. Dopo l’11 settembre viene inviata in Medio Oriente e poi torna negli Usa per seguire la preparazione della guerra. La svolta è del 2003, nella seconda guerra del Golfo: è l’unica giornalista ad essere ammessa come embedded, al seguito delle truppe Usa. È una nuova figura di giornalista, che altri inviati più esperti snobbano ritenendola poco nobile, mentre lei, cocciutamente, si dà da fare per avere il posto. Una storia che racconterà in un libro, «Dentro la guerra». Rimane a Baghdad fino al 2005 per il Tg1, poi torna altre volte per seguire gli sviluppi del conflitto. Esperienza per cui diventerà Cavaliere Ordine al merito della Repubblica. Nel 2007 approda alla conduzione del Tg1 delle ore 20, l’anno dopo segue l’elezione di Barack Obama. Diventa capo redattore degli Esteri , conduce e poi dirige gli Speciali del Tg1. Nel 2012 modera il confronto tra Bersani e Renzi per le primarie del Pd. L’anno dopo è direttore di Rainews 24 e di Televideo, trasformando le testate. Intervista in esclusiva il presidente siriano Bashar al Assad. La candidano alla direzione del Tg1 ma viene scelto Mario Orfeo. Nel 2014 partecipa alla riunione del Gruppo Bilderberg, nel gotha di economisti di cui fa parte Mario Monti. Il M5S, oggi unico a contrastare la Maggioni, polemizza. Ma è un altro segnale delle sue capacità di giocare su più tavoli.

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SEBASTIANO MESSINA, LA REPUBBLICA –
Chi vuol chiedere a Monica Maggioni un’informazione più obiettiva e magari più neutra, farebbe bene a leggersi prima quello che lei ha scritto poche settimane fa, quando neanche immaginava che sarebbe diventata presidente della Rai: «Il nostro non è un lavoro neutro. Ci piaccia o no, è quanto di più distante dall’obiettività si possa immaginare. E non sto parlando del gioco sporco, della manovra truffaldina di chi altera gli eventi, le notizie, di chi costruisce in montaggio quello che non è mai accaduto. Sto solo parlando dello sguardo sulla realtà che ognuno di noi ha e si traduce in una scelta». Noi giornalisti facciamo sempre delle scelte, sostiene la Maggioni nelle 192 pagine di Terrore mediatico (Laterza). E scegliendo, scrive, prendiamo posizione. «Cominciamo a scegliere il primo giorno che diventiamo reporter. Lo facciamo scrivendo aggettivi, allungando dirette, enfatizzando le parole, alzando o abbassando gli effetti dell’audio. Rimanendo un’ora in un villaggio e tre in quell’altro».
Così la pensa la donna che non è la prima giornalista a sedere sulla poltrona di presidente della Rai, ma è la prima ad arrivarci dalla direzione di una testata, Rainews24. E ci arriva, per usare le sue parole, dopo aver «lavorato come un mulo». Nei suoi 21 anni di televisione, Monica Maggioni è stata elogiata, attaccata, invidiata, premiata e contestata, ma certo non si è mai tirata indietro di fronte alle scelte. Specialmente quando si trattava di rischiare. Molti la ricordano con la mimetica dei Marines e il giubbotto antiproiettile, durante la seconda Guerra del Golfo, quando fu l’unica giornalista italiana “embedded”, tra le file dell’esercito americano. Altri hanno visto, due anni fa, la sua intervista a Bashar al Assad, realizzata in esclusiva da Rainews24 proprio nel momento in cui il presidente siriano era messo in castigo dalle Nazioni Unite per le armi chimiche. In entrambi i casi, lei ha accettato senza tentennamenti il rischio delle pallottole e quello delle critiche, infischiandosene – come ha sempre fatto del “politically correct”.
Una donna forte, dunque. Determinata. Ma anche capace di tessere le relazioni giuste: ospite fissa della festa del 4 luglio all’ambasciata americana, membro dell’Associazione Italia-Usa, l’anno scorso fu l’unica giornalista italiana a essere invitata alla riunione annuale del Bilderberg a Copenaghen.
E del resto anche alla Rai, dove mise piede per la prima volta nel 1996- dopo il master di giornalismo della scuola di Perugia e una breve esperienza al canale satellitare Euronews – la Maggioni ha salito a due e due i gradini della carriera: assunta a Tv7, passa al Tg1 (1997), poi conduce Unomattina Estate (1998), il Tg1 del mattino (1999), quindi va in Israele per l’Intifada (2000), inviata in Medio Oriente (2001), nella Guerra del Golfo (2003), conduce l’edizione delle 20 del Tg1 (2007), va negli States per l’elezione di Barack Obama (2008), diventa capo della redazione esteri del Tg1 (2009) e poi degli Speciali (2010).
Poi cambia la dirigenza, e il nuovo direttore generale della Rai, Luigi Gubitosi, decide di farne il volto- simbolo della sua tv. Così, dopo averle fatto moderare il faccia-a-faccia tra Renzi e Bersani per le primarie Pd (2012) la assegna la direzione del canale all news, Rainews24 (2013). Raramente si era vista una carriera così veloce, a Viale Mazzini. E lì, seduta sulla poltrona che era stata di Corradino Mineo, la Maggioni ha rivoluzionato tutto, puntando – non sempre con successo – a dare un’iniezione di audience alla cenerentola delle testate Rai. Come quando ha fatto partire subito una diretta “non stop” sull’attentato a Charlie Hebdo, mentre gli altri telegiornali faticavano a organizzarsi. Si dice che Gubitosi progettasse di affidare proprio a lei la direzione di una delle nuove mega-redazioni che nasceranno con la riorganizzazione dei tg. Non ha fatto in tempo. Ha fatto prima lei a diventare presidente della Rai.

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PAOLO MASTROLILLI, LA STAMPA –
Una cosa si può dire su Monica Maggioni, senza il timore di poter essere smentiti: se chi lavora con lei ci mettesse la metà del suo entusiasmo e del suo impegno, qualunque azienda raddoppierebbe la produttività. E anche la qualità.
Qualche esempio basta a dimostrare questo punto. Quando l’ex senatrice Ingrid Betancourt fu liberata, dopo anni passati come ostaggio, in redazione al Tg1 lo sapemmo verso le dieci di sera. Monica era in Giamaica, a girare i servizi di preparazione per le Olimpiadi di Pechino, con i grandi sprinter dell’isola caraibica. Le dicemmo che alle 20 del giorno dopo doveva andare in onda in diretta da Bogotà: come, era un problema suo. Arrivò in tempo, andò in onda, e fummo i primi a trasmettere le dichiarazioni in cui la Betancourt ringraziava l’Italia per il sostegno ricevuto negli anni della prigionia.
Dopo i rapimenti e gli attentati avvenuti in Iraq, la Rai si era ritirata da quel paese, per comprensibile prudenza. Però Monica, che era stata là durante la guerra, era convinta che si potesse tornare, farlo in sicurezza, e portare indietro notizie. La ascoltammo, perché il dovere dei giornalisti è fare tutto il possibile per informare al meglio. Andò, realizzando la prima e unica intervista rilasciata ai media italiani dal generale Petraeus. Allora Petraeus comandava la “surge”, con cui era riuscito a riportare un po’ di stabilità in Iraq, usando la strategia dell’Anbar Awakening, che secondo molti analisti oggi sarebbe la chiave per sollevare le tribù sunnite contro le violenze dell’Isis.
La televisione è complicata, perché soprattutto nel settore dell’informazione non consente mezze misure: o sei sul campo, riprendi le immagini, dai voce alle persone, oppure niente. E Monica non si tirava mai indietro. Dai tempi della scuola di giornalismo a Perugia, fino alle missioni nei teatri di guerra, chiamarla significava avere sempre una risposta positiva. Pure se avesse avuto l’ulcera, partiva e arrivava.
E’ anche un luogo di personalità forti, la tv, di concorrenza, di gelosie, di equilibri politici, che sono nella natura di un servizio pubblico come la Rai. E quindi anche di polemiche, come ad esempio quando aveva partecipato nel 2014 all’incontro del gruppo Bilderberg a Copenhagen. Queste però sono pure relazioni, che servono poi ai giornalisti per arrivare alle fonti e trovare le notizie. Come aveva fatto l’anno prima con l’intervista al presidente siriano Assad, realizzata per Rainews24 durante la crisi provocata dall’uso delle armi chimiche.
La nuova presidentessa della Rai di sicuro conosce l’azienda che dovrà guidare, con tutte le sue potenzialità e i suoi limiti. Conosce il mezzo televisivo, e gli ambiti in cui il servizio pubblico può essere migliorato e adattato alla velocità dei tempi in cui viviamo. Ha esperienza e dedizione, che chi la conosce ha visto sul campo. Se riuscirà a trasmetterla ai colleghi con cui continuerà a lavorare, sarà una scossa positiva per la Rai.

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STEFANO FELTRI E CARLO TECCE, IL FATTO QUOTIDIANO –
Negli ultimi anni, Monica Maggioni si è costruita un curriculum che denotava ambizioni, quasi da ministro degli Esteri, da ambasciatore. La presidenza della Rai è il minimo che poteva ottenere dopo anni di convegni, libri, interviste, iniziative, costruzione di relazioni. O forse non è il minimo, forse è una tappa intermedia verso altro, il primo passo per sganciarsi dall’etichetta di semplice giornalista. Perché il peso di Monica Maggioni dentro la Rai è sempre stato maggiore dello 0,55 per cento di share del canale che dirige, RaiNews24 (media dei primi sette mesi del 2015, equivale a 57 mila spettatori). A guardare soltanto i numeri, non sarebbe certo stata da promuovere: con molte meno risorse il suo predecessore Corradino Mineo, oggi pugnace senatore della minoranza Pd, registrava lo 0,59 per cento. Una macchina da quasi 200 giornalisti che produce un tg visto poco più di quello di SkyTg24 sul satellite, anche per questo Gubitosi ha varato una riforma delle redazioni che dovrebbe impostare l’informazione Rai su due pilastri, il Tg1 e, appunto, RaiNews24. Difficile che la Maggioni, ora che il governo l’ha indicata come presidente, spinga in una direzione diversa.
Ma il peso della Maggioni in questi anni non è stato certo da zero virgola, fu lei a moderare il confronto tra Renzi e Pier Luigi Bersani, nelle primarie del Pd nel dicembre 2012, il primo evento tv davvero importante con il futuro premier. L’ha assunta Marcello Sorgi quando era direttore del Tg1, nel 1996. Si occupa di esteri, conquista la conduzione, nel 2012 è a un passo dalla direzione del Tg1, ma non ce la fa, passa il più trasversale Mario Orfeo. Perché dietro un posizionamento pubblico in apparenza progressista, la Maggioni nei momenti decisivi ha scelto di appoggiarsi al centrodestra. C’era anche la sua firma tra quelle dei 92 giornalisti del Tg1 che nel 2010 si schierarono a sostegno del direttore superberlusconiano Augusto Minzolini. Per “errore” Minzolini aveva detto che David Mills, l’avvocato inglese accusato di essere stato corrotto da Silvio Berlusconi, era stato “assolto” invece che “prescritto” grazie a una legge ad personam.
Nel 2014 trova il tempo di girare un documentario sui sessant’anni di Comunione e liberazione, insieme al portavoce del movimento, Roberto Fontolan. Amici utili e potenti, i ciellini. Ma non i soli che la Maggioni cerca in quegli ambienti, visto che i redattori di RaiNews24 si lamentano spesso della frequenza con cui devono coprire papa Francesco. I complottisti, poi, vedranno nella promozione alla presidenza della Maggioni una conseguenza della sua partecipazione all’ultima riunione del club Bilderberg, la riunione informale di banchieri, politici e potenti vari che anima varie teorie della cospirazione.
Non si è fatta mancare neppure la commissione Trilaterale, altro salotto internazionale di prestigio. Sono anni che la Maggioni coltiva i suoi rapporti transatlantici: da giovane ha partecipato all’International Visitors Leadership Program, il viaggio studio in American organizzato dal dipartimento di Stato di Washignton per promesse del giornalismo e della politica, selezionati tramite le ambasciate. Poi, da inviata di guerra, è entrata in confidenza con l’eroe di Afghanistan e Iraq, il generale David Petraeus, protagonista anche del libro Dentro la guerra, scritto dalla giornalista embedded.
Oggi la Maggioni interviene spesso ai convegni dell’Ispi, l’Istituto studi di politica internazionale il cui presidente onorario è Giorgio Napolitano. Per l’Ispi ha scritto anche un saggio sulla comunicazione dell’Isis, tema che la appassiona al punto da aver dedicato l’ultimo saggio al Terrore mediatico (Laterza). Ha anche moderato, a Bruxelles, uno dei dibattiti tra i candidati alla Commissione europea durante le elezioni della scorsa primavera. E l’ha fatto in inglese, lingua estranea a gran parte dei dipendenti Rai.
Ma il numero dei suoi nemici dentro la Rai è pari almeno a quello degli estimatori. Chi non la ama in queste ore rievoca episodi messi in ombra dal prestigio da inviata di guerra: le spese discutibili quando era inviata a New York per il tg di Clemente Mimun (ci fu un’indagine interna, nessuna conseguenza, racconti di limousine a noleggio), il ricorso generoso agli inviati di RaiNews anche per eventi dal dubbio contenuto giornalistico, come i lavori di SaliniImpregilo a Panama (i cronisti hanno fatto tappa a Las Vegas), o al seguito di tutti i ministri anche nelle trasferte meno rilevanti, nonostante la copertura dei tg sia comunque garantita.
I suoi detrattori sottolineano poi i rapporti con una società esterna alla Rai, la Four in the morning, dell’architetto Dario Curatolo, che sarebbe il compagno della neo-presidente della Rai. I rapporti personali sono affare privato, ma i rapporti di business tra la Four in the morning e la Rai sono pubblicati sul sito della società: c’è per esempio il documentario Out of Teheran, regia di Monica Maggioni, fotografia di Dario Curatolo, produzione Rai Cinema-Mediakite. Fino al 2012 anche la Maggioni era socia con il 45 per cento della Four in the morning, che nel 2014 ha fatturato 341 mila euro.