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 2015  agosto 06 Giovedì calendario

«La pigrizia è un tratto caratteristico dei neri». «Il Messico non ci manda i migliori, spedisce da noi drogati, criminali, stupratori»

«La pigrizia è un tratto caratteristico dei neri». «Il Messico non ci manda i migliori, spedisce da noi drogati, criminali, stupratori». «L’unica differenza tra me e gli altri candidati è che io sono più onesto e le mie donne sono più belle». Mezza America, compresa buona parte di quella conservatrice, è terrorizzata perché più Donald Trump le dice grosse, più cresce, nei sondaggi, il suo vantaggio sugli altri repubblicani in corsa per la Casa Bianca. Gli strateghi di Jeb Bush, invece, sperano che il « tycoon » che con le sue dichiarazioni esagerate toglie visibilità agli altri candidati radicali, da Rand Paul a Ted Cruz, possa alla fine risultare paradossalmente utile al candidato moderato dei conservatori. I sondaggi danno questo figlio e fratello di presidenti davanti a Hillary Clinton in un ipotetico scontro elettorale diretto nel novembre 2016. Ma gli stessi sondaggi dicono che il vero problema di Jeb è arrivare alla « nomination » repubblicana, visto che il meccanismo delle primarie avvantaggia i candidati più estremi, quelli con un messaggio preciso e tagliente, anche se poco realistico. Quattro anni fa Mitt Romney, il favorito della vigilia, si ritrovò schiacciato tra l’integralismo di Rick Santorum e i due diversi radicalismi di Newt Gingrich e del libertario Rand Paul. Per non affogare, spostò bruscamente a destra la sua campagna: la spuntò (a fatica) nelle primarie, ma poi perse credibilità nel confronto con Obama. Jeb ha promesso che non farà lo stesso errore: non si rimangerà le sue posizioni moderate per compiacere i duri. M a Jeb Bush ha un problema: mentre alle elezioni votano tutti, compresi indipendenti e moderati che cercano un candidato sicuro e affidabile, alle primarie vanno alle urne soprattutto i militanti che tendono a concentrarsi sulle estreme e che vogliono tifare per un candidato che li entusiasma con messaggi semplici, meglio se imbevuti di populismo, non per un politico pacato che dice cose ragionevoli, ma ha il fascino di un amministratore di condominio. Prima della discesa in campo di Trump, Bush navigava nelle retrovie dei sondaggi dei primi Stati che voteranno nella stagione delle primarie: Iowa, South Carolina, Nevada. Tutti salvo il New Hampshire. Un avvio così accidentato sarebbe disastroso per la sua candidatura: la spunterebbe uno dei radicali in campo. La speranza dell’ex governatore della Florida è che Trump spiani come un «bulldozer» le distorsioni del meccanismo delle primarie mandando al tappeto i suoi avversari. E che poi l’America capisca che non può affidarsi a un miliardario pericolosamente gigione (e anche razzista se prendiamo sul serio quello che dice). Comunque vada a finire, rimane il dato di fondo: il meccanismo delle primarie non funziona più. Un tempo i caucus erano una palestra nella quale i cittadini imparavano a discutere di politica. Oggi sono solo palcoscenici per una politica-spettacolo nella quale demagogia ed estremismo trovano terreni fertili. Un problema che i democratici sembrano non avere (per ora) solo perché a sinistra si è manifestata un’altra patologia: quella del candidato unico espresso dalla famiglia reale del fronte progressista, i Clinton. Ma basta attraversare l’Atlantico per trovare una situazione simile nel «labour» inglese nel quale Jeremy Corbyn, seguace di Tsipras e in sintonia coi nazionalisti scozzesi, è nettamente in testa nei sondaggi. Potrebbe vincere a man bassa le primarie: i radicali antisistema che in Grecia e Spagna si sono presentati, con Syriza e Podemos, fuori dai partiti della sinistra storica, in Gran Bretagna cercano di espugnare da dentro la grande forza progressista. Per radere al suolo l’eredità politica dell’era Blair.