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 2015  agosto 04 Martedì calendario

L’inatteso blitz voluto da Matteo Renzi - si eleggano subito i nuovi vertici della Rai, senza aspettare la riforma di sistema - segnala una fretta che anticipa la prossima mission

L’inatteso blitz voluto da Matteo Renzi - si eleggano subito i nuovi vertici della Rai, senza aspettare la riforma di sistema - segnala una fretta che anticipa la prossima mission. Far decollare entro l’anno, una «nuova» Rai, diversa da quella degli ultimi venti anni, «meno ansiogena e più servizio pubblico». Tanto per cominciare, oggi l’azienda avrà un Cda, domani un direttore generale, dopodomani un presidente: una plancia di comando che - ecco il punto di svolta - sarà chiamata a nominare presto i nuovi direttori di rete e di Tg. Ebbene, nelle intenzioni del presidente del Consiglio, fermi restando i palinsesti e i programmi già stabiliti, già nel prossimo autunno-inverno i nuovi direttori dovrebbero iniziare a irradiare - con gradualità e almeno su una parte della programmazione - una concezione diversa del servizio pubblico. Un nuovo mood. Le critiche alla tv Su questo piano Matteo Renzi non ha usato scorciatoie ipocrite, si è esposto con espressioni brusche. Lo scorso primo luglio, alla prestigiosa università Humboldt di Berlino, ad un certo punto Renzi spiazzò cattedratici e studenti, parlando dei talk-show italiani: «Sono il grande pollaio senza anima che ha preso il posto delle fiction, pieni di colpi di scena dove non succede mai niente, con teatranti di terzo ordine e dove gli spot sono la parte più credibile dell’intera trasmissione». Una sparata che, per una serie di circostanze, non ha finito per essere ribattezzata come «l’editto di Berlino», ma che sicuramente ha consentito di capire tutto quello che a Renzi non piace dell’informazione televisiva. L’obiettivo Più difficile interpretare, almeno da quelle parole dette in pubblico, la Rai «in positivo» che Renzi vorrebbe. Aiutano però le riflessioni che il premier ha privatamente dedicato al tema. A Renzi non piace un servizio pubblico nel quale - sostiene - a qualunque ora, dalla mattina alla sera - c’è una «rincorsa al peggio, alle immagini più ansiogene», lacrime e sangue, senza attenzione al «contesto». Renzi immagina un servizio pubblico che lasciando lo spazio alle diverse opinioni, abbia «il senso delle proporzioni», della «responsabilità». E d’altra parte, con riflessioni proprie e non confrontate con Renzi, anche il Capo dello Stato ritiene che talora l’informazione televisiva indulga ad un eccesso di spettacolarizzazione, anche se ovviamente questo non si tradurrà in esternazioni pubbliche. Le mosse Lo stesso Renzi, d’ora in poi, è chiamato a muoversi con maggiore prudenza. In cuor suo il premier ha interesse a spegnere un’informazione a forti tinte contrapposte, ma sa di non potersi esporre platealmente nell’assecondare la svolta verso una Rai «edificante». Il pubblico Ma Renzi sa di incrociare una crescente disaffezione del pubblico per i talk-show «gridati» e ripetitivi, una disaffezione conclamata, dimostrata dal crollo degli ascolti e che il premier stesso ha sintetizzato qualche tempo fa in un tweet lapidario: «Trame, segreti, finti scoop, balle spaziali e retropensieri: basta una sera alla Tv e finalmente capisci la crisi dei talk show in Italia». Ma la crisi del «modello Santoro» - i talk-show collegati con la piazza, tendenzialmente inquisitori e controfattuali - non sembra accompagnata per ora da una riflessione compiuta sulla mission da affidare alla «nuova» Rai. Come quella che nel 1976, sull’onda della riforma, accompagnò l’affidamento della guida dei Tg a due campioni dell’informazione televisiva. Come ha ricordato Enrico Mentana «la vituperata Prima Repubblica mise Emilio Rossi al Tg1 e Andrea Barbato al Tg2 dopo aver deciso cosa voleva fare della tv pubblica».