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 2015  agosto 01 Sabato calendario

LA LEGGE DI GURGAON

Dicono che non c’è al mondo un esempio di sviluppo tanto rapido ed esteso come Gurgaon, la prima città satellite di New Delhi, nello Stato di Haryana. Qui pulsa il cuore dell’hi-tech, della grande finanza, dell’industria: metà delle 500 compagnie quotate da Fortune – Google e Microsoft, Honda e Motorola, Nestlé – hanno uffici o grattacieli in questa sterminata pianura cementificata di 750 km quadrati, 35 chilometri a sudovest della capitale indiana.
I neon degli shopping mall e dei cartelloni stradali, con la pubblicità di creme sbiancanti e nuovi condomini di lusso illuminano le sagome dei pendolari diretti alle fermate del metrò di MG Road, Iffco e Huda. Dopo una giornata frenetica negli uffici in vetrocemento, sciamano gli impiegati e subentrano folle di famiglie eleganti che si riversano nei caffè, nei ristoranti e nei karaoke all’aperto. Nugoli di moto-risciò zigzagano in cerca di clienti per gli slum dove non ci sono altri mezzi pubblici, villaggi di baracche accanto ai grattacieli, tagliati fuori dalle strade maestre, dove le donne fanno la coda alle pompe dell’acqua. Dai cancelli delle colonie recintate dei ricchi entrano ed escono Suv e Mercedes climatizzate dai vetri scuri.
New Millennium City, com’è ribattezzata, ha raggiunto in un quarto di secolo un milione e mezzo di abitanti, con un incremento di popolazione urbana superiore al 236% tra il 2001 e il 2011, contro il 15,82% di quella rurale. Oggi continua a crescere in altezza e larghezza con la stessa velocità e lo stesso criterio del recente passato, ovvero senza veri piani regolatori. Non a caso, quando i primi monsoni di luglio hanno colpito duro, si sono allagati interi caseggiati, scuole e perfino gli uffici del Comune, la Municipal Corporation Gurgaon. Ma il commissario, assediato dai cittadini furiosi, anziché riceverli è rimasto chiuso in ufficio a studiare con i tecnici i piani per fare di Gurgaon la più brillante Smart City dell’India. Cablata e insensibile.
La cupola del potere cittadino siede nel consiglio d’amministrazione della Haryana urban development agency, o HUDA, che dà il nome anche alla più grande stazione locale della metropolitana, attorno alla quale è sorto il primo nucleo della città satellite. Decide per conto dei politici come si dividono i lotti, l’altezza dei palazzi e degli uffici, le arterie di collegamento, gli approvvigionamenti di elettricità e acqua, quanta gente va importata o deportata per i “progetti di sviluppo”. Il risultato è oggi sono gli occhi di tutti, come ci illustra il giornalista e saggista Paranjoy GuptaThakurta: «Un insieme di feudi privati nella moderna Repubblica autonoma di Gurgaon, dove i costruttori si sono spartiti licenze, appalti e terre del nuovo Eldorado». Le sigle delle compagnie concessionarie hanno da tempo sostituito sui cartelli stradali i nomi degli antichi villaggi, citati nell’epica del Mahabaratha come parte del Guru Gram, o Luogo del Maestro, oggi chiamati Dlf I, II oV, Unitech, Unità 3,Torre B, Cyberpark, Ansal... «Acquista ora a Park view spa», invita una pubblicità, «l’alba di un nuovo fenomeno, un’esperienza coinvolgente e uno stile di vita per eccellenza».
Negli anni sono stati investiti così tanti soldi che sembra difficile fermare grattacieli e strade salvando almeno l’ultima parte della foresta sulla quale preme il cemento di Gurgaon, che vede via via seccarsi le vitali sorgenti d’acqua formate sotto le colline degli Aravalli. I boschi di Mangar, già danneggiati dalle miniere illegali, fiancheggiano l’autostrada NH8 diretta a Jaipur nel vicino Rajasthan e a sud verso la lontana Mumbai, lungo la direttrice del futuro sviluppo che minaccia l’unica oasi di biodiversità rimasta: 700mila alberi e animali selvaggi come i leopardi, che spesso perdono i cuccioli investiti sulle strade asfaltate. Qualche anno fa la NH8 nella tratta Delhi-Gurgaon è passata da 8 a 32 corsie, ma le stazioni del pedaggio hanno resistito pochi mesi, smantellate dopo le rivolte contro le lunghe file che ostacolavano il flusso dei veicoli.
Svincoli e sopraelevate dominano un paesaggio da colonia lunare, lì dove trent’anni fa non c’era niente se non villaggi rurali abitati da centomila contadini, pastori e pendolari. Il pieno boom è cominciato nel ’92, quando il Paese si è aperto al mondo chiedendo ai suoi poveri di fare spazio ai nuovi venuti, le grandi compagnie straniere in cerca di manodopera a basso costo. Il risultato è che degli attuali cittadini di Gurgaon, più di un milione, due terzi sono immigrati poveri dal Bihar, dall’Uttar Pradesh, dal Rajasthan e Punjab, una maggioranza spesso costretta alla clandestinità, manovalanza silenziosa senza diritti né regolari documenti di identità, né permesso per mandare i figli a scuola. Ma non meglio se la passano i vecchi residenti, spostati da un lotto all’altro per costruire nuovi edifici che loro non potrebbero mai permettersi. Raj Kamal Jah, autore di un romanzo ispirato alla sua vita tra i ricchi e i poveri di Gurgaon, dice che i residenti delle classi medio-alte sono come «marziani con in testa delle bolle, che si spostano in auto climatizzate dalle case agli uffici, dal moderno grande magazzino al ristorante di lusso. Nemmeno si accorgono di vivere in un’altra India perché hanno i loro ospedali, le loro scuole dalle rette inaccessibili e i loro luoghi di svago, dove spendono a testa in una sera lo stipendio mensile del loro autista o di due domestici che vengono dai villaggi».
Oasi e bolle sono ovunque, nel cuore delle tante città a sé stanti di Gurgaon, a cominciare dai 15 ospedali privati a 5 stelle, contro uno solo pubblico e sovraffollato. La stessa proporzione c’é tra le scuole governative, dove le classi possono raggiungere gli 80, 100 alunni, e i college esclusivi sorti come funghi.
Adiacente a una delle tante oasi di benessere della Millennium city, Islampur ospita due o trecento famiglie, come quella del manovale Saabudin, cacciate da Fatehpur Jharsa nel Settore 47, due chilometri più avanti. Sono alloggiate “temporaneamente” dentro capanne fatte di teloni di plastica nera e cartone circondate dall’immondizia dei residenti delle moderne palazzine di cemento, che protestano per la loro presenza. Per loro si era battuta Nisha Singh, uno dei 35 consiglieri di zona eletti alla MCG, ma senza poteri, che ha abbandonato una carriera ai vertici di Google con l’illusione di cambiare il mondo facendo politica. Dopo quattro anni di dispute può dire di sentirsi delusa.
«I baraccati di Islampur», racconta, «vivevano a Fatehpur da almeno quattro generazioni e coltivavano il frutto del singhara, oltre a lavorare per i ricchi della zona. Gli hanno buttato giù le case senza nemmeno consultarli e adesso hanno perso anche il lavoro». A maggio Nisha ha tentato di fermare le ruspe spedite dall’agenzia HUDA per sgombrare l’area, e la polizia l’ha malmenata e trascinata per i capelli, ferita, in cella. Ma quattro giorni tra piccoli criminali e prostitute non hanno domato il suo spirito. «Qui regna la legge dei favori e delle estorsioni», ci dice. «Non ci sono parcheggi e il mafioso locale affitta le terre del governo, non c’è acqua e qualcuno la vende a caro prezzo. Il potere non è dato ma si prende usando “polizie” private e agenti pagati. Anche i vertici dello Stato dovranno però rendersi conto che dove non c’è legge nessuno vuole vivere». Molte delle case-bolla cominciano infatti a restare sfitte, qualcuno dice per la crisi, altri come conseguenza della cattiva amministrazione. Ma i lavori non si fermano».