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 2015  agosto 02 Domenica calendario

IN CARCERE IL FONDATORE DELLA BORSA DEL BITCOIN

TOKYO
Dopo un anno e mezzo di pigra procedura fallimentare, il crack di quella che fu la maggiore Borsa mondiale per lo scambio delle monete virtuali bitcoin appare all’improvviso in una luce nuova: le autorità giapponesi sono giunte alla conclusione che il Ceo di Mt. Gox, Mark Karpeles, non sia stato la prima vittima di atti di pirateria informatica che portarono al crollo, nel febbraio dell’anno scorso, dell’exchange a causa della «sparizione» dell’equivalente di circa 400 milioni di dollari, ma che ne abbia ampiamente approfittato a fini di lucro personale. Così ieri mattina la polizia metropolitana di Tokyo ha arrestato il trentenne francese. Dopo un meticoloso esame dei computer e delle transazioni risultanti, gli investigatori ritengono che Karpeles, attraverso accessi non autorizzati, abbia manipolato i dati per far risultare sul suo conto personale un ammontare addizionale di un milione di dollari che avrebbe poi convertito prima in bitcoin e poi in denaro vero e proprio. Secondo indiscrezioni, sarebbero presto in arrivo altre accuse, tra cui quella di appropriazione indebita.
L’ammontare «contestato» rappresenta comunque una piccola frazione degli 850mila bitcoin (per lo più dei clienti) che sparirono o furono sottratti da hacker, cifra poi ridotta a 650mila dallo stesso Karpeles che aveva sostenuto di averne rinvenuti in seguito 200mila. Ma certo la notizia di ieri inquadra in un contesto di illegalità una vicenda su cui clienti defraudati, avvocati ambiziosi e autorità di molti Paesi hanno cercato lumi finora invano: Mt. Gox non fu un benemerito pioniere di scambi anonimi di una valuta alternativa ai circuiti bancari, ma un sistema poco trasparente e vulnerabile, esposto non solo alle incursioni dei pirati informatici ma a quelle degli stessi gestori. Non a caso alcuni ex dipendenti di Mt. Gox hanno testimoniato sulle costanti pratiche disinvolte di Karpeles, che avrebbe coperto varie spese operative attingendo ai conti dei clienti. Clienti che erano per lo più non giapponesi, anche se la “borsa” bitcoin di Tokyo arrivò a gestire fino al 70% delle transazioni globali nella moneta virtuale comparsa nel 2009, la cui ideazione è attribuita a un giapponese.
Indiscrezioni sul suo imminente arresto (poi ripreso da tv giapponesi) avevano indotto lo stesso Karpeles a dichiarare in anticipo “false” le accuse. Un suo legale ha poi ribadito che il cliente non ha compiuto alcun atto illecito. Niente di nuovo, visto che Karpeles ripeteva dall’anno scorso il ritornello secondo cui il sistema aveva avuto delle vulnerabilità per cui si scusava, ma sempre negando responsabilità personali. Adesso è davvero nei guai. Le autorità possono tenerlo dentro per 23 giorni senza formalizzare le accuse: un sistema non di rado utilizzato per far confessare l’arrestato. Di solito, se la negazione degli addebiti continua, i tempi si allungano ed eventuali mezze ammissioni tardive aggravano la posizione dell’indagato.
Stefano Carrer, Il Sole 24 Ore 2/8/2015