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 2015  agosto 03 Lunedì calendario

UNA CORSA TRA GLI ALBERI CON ZIO GIANNI

Lo incontrerebbe in una pista di atletica, all’ombra di un albero. Lui indosserebbe mocassini, camicia e pantaloni di lino. Bianchi, naturalmente, perché adesso è un angelo. Lei avrebbe un completo in microfibra e le «gambette in carbonio», le chiama così. Quello che sa di lui, lo sa dai racconti degli altri. Anche se un ricordo privato ce l’ha, coltivato negli anni, impresso a fuoco nella memoria dell’adolescente che è stata. E riguarda un Natale di molti anni fa, a Reggio Calabria, quando suo padre Alfredo, durante le visite pastorali dagli zii per gli auguri delle feste, la portò anche da Nino, il papà di Gianni.
«Il figlio chiamò proprio mentre noi eravamo lì e non potrò mai dimenticare due cose: la prima è che al telefono parlava in dialetto, e questa cosa di mio zio famoso in tutto il mondo che quando chiamava i suoi parlava in dialetto mi colpì e mi piacque moltissimo, significava che non si era montato la testa; la seconda è che diceva di essere da qualche parte negli Stati Uniti assieme a Madonna, con la stessa noncuranza con cui io avrei potuto parlare del mio vicino di casa Giampiero!».
Giusy Versace aveva venti anni il 15 luglio 1997, quando Andrew Cunanan sparò a Gianni Versace sulle scale di Casa Casuarina, la sua villa a Miami Beach. «Non ho mai avuto occasioni per stare un po’ con lui, ma è come se lo avessi conosciuto: so che era buono e geniale. Se avessimo un’ora da trascorrere insieme ci terrei a incontrarlo anzitutto in un luogo che rappresenta la mia nuova vita di adesso, dopo l’incidente di dieci anni fa. Forse vorrei mostrargli quanto sono stata brava e coraggiosa, come mi aveva chiesto di essere zio Santo, suo fratello, quando mi ha chiamata all’ospedale dopo che sono uscita dalla rianimazione. In quei giorni lui, ma anche zio Michele, hanno fatto per me cose che soltanto un padre può fare. Tutt’ora siamo molto vicini, ci sentiamo o ci scriviamo quasi ogni giorno, mi sprona, mi sgrida e quasi sorveglia i miei passi». Gianni era legatissimo a Donatella e Santo, la sorella e il fratello. Anche Giusy è molto unita a Domenico, il fratello che una volta le ha chiesto se poteva salire da lei a Milano per qualche giorno e poi non se n’è più andato. «E va bene co-
sì, ci mancherebbe!». Di Gianni tutti conoscono il mito, lei vorrebbe chiedergli come lo è diventato. «Ha mai avuto momenti di sconforto? Ha sempre saputo che avrebbe creato qualcosa di importante? Ha mai dubitato di se stesso, ha avuto paura di non riuscire? E poi come è nata l’idea della Medusa, il marchio di fabbrica della maison? Voleva davvero pietrificare chi vedeva le sue creazioni?» E poi qualche curiosità più futile: «Qual è il suo colore preferito?
Io amo quelli fluo, e lui?». Le domande sono tante e un’ora è poca. Giusy si specchia in questo zio così tenace e vivo, a dispetto della scomparsa prematura, e cerca similitudini con la sua vita. «Anche la mia da normodotata è durata poco, è finita a 28 anni... Ma adesso, però, spero che quella senza le gambe sia lunghissima! Qualche settimana fa a Reggio Calabria mi è stato consegnato il Premio Bergamotto d’Oro, riservato ai reggini che hanno dato lustro alla loro terra: anche zio Gianni lo aveva ricevuto, sul cellulare ho la foto di quando lo prese in mano; ecco, mi piacerebbe fargliela vedere assieme alla mia...».
Resta un’inquietudine, quasi personale. «Ha mai avuto paura di essere travolto dal successo? Di perdere la sua identità? E quando si è reso conto di essere diventato, suo malgrado, un punto di riferimento per gli altri, in che modo ha vissuto questa responsabilità?».
L’ora sta per finire, Giusy frigge. Avrebbe voluto che fosse uno scambio reciproco, ma si rende conto di non avergli detto di aver creato una onlus di cui dal 2011 è anche presidente (No Limits Onlus, www.disabilinolimits.org), di aver scritto una autobiografia nel 2013 (Con la testa e con il cuore si va ovunque, Mondadori), di aver vinto con le protesi l’ultima edizione di Ballando con le stelle, e dell’imminente conduzione, fra tre settimane, della Domenica Sportiva con Alessandro Antinelli.
Non ama gli addii, ma bisogna salutarsi. «Lo prenderei per mano e gli chiederei di correre un po’ con me, per sentirmi viva, con lui, come quel giorno in cui l’ho fatto per la prima volta in pista, senza le mie gambe, e piangevo di gioia».