Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 01 Sabato calendario

IL CASO L’ODISSEA DEI FONDI EUROPEI CENTO MILIARDI IN 9 ANNI MA MANCA LA CABINA DI

REGIA –
ROMA Abbiamo avuto due ministri che si occupavano solo di questo: Fabrizio Barca con il governo Monti e Carlo Trigilia con il governo Letta. Abbiamo avuto un sottosegretario a Palazzo Chigi, Graziano Delrio, incaricato ufficialmente di seguire il dossier. E adesso, che fine ha fatto la regia «politica» sui fondi comunitari? Di fatto si naviga a vista. Non un dettaglio, visto che quella è l’unica cassaforte disponibile in tempo di austerity, e dentro ci sono 100 miliardi di euro da spendere in 9 anni. Forse un problema, perché gran parte dei soldi sono per quel Mezzogiorno a rischio «sottosviluppo permanente», come ci ha ricordato la Svimez. Cosa è successo?
Da inizio aprile, cioè da quando Delrio è stato spostato al ministero delle Infrastrutture, la competenza è tornata nelle mani di Matteo Renzi. Per forza di cose affogata in un’agenda dove trovare posto è un’impresa. La delega non è stata girata al nuovo sottosegretario di Palazzo Chigi, Claudio De Vincenti, che ha preso il posto di Delrio. Di fatto lo stesso De Vincenti è «costretto» ad occuparsi della materia. Ma senza la forza di una completa investitura politica e, anche qui, in mezzo a mille altre grane da risolvere. E se tutte le grane sono uguali, i fondi europei sono più grana degli altri. Perché la materia è complicata. E perché, ogni santo giorno, bisogna far sentire il fiato sul collo alle Regioni, che ancora adesso non riescono a spendere i soldi a disposizione.
Al 31 maggio di quest’anno, l’Italia ha speso il 73,6% dei fondi 2007-2013. Tre punti in meno rispetto all’obiettivo del governo. Il tutto un anno e mezzo dopo la fine del programma, anche se per certificare le spese c’è tempo fino alla primavera del 2017. Per dire, la Polonia ha speso nei tempi il 97,5% delle risorse, creando 300 mila posti di lavoro, 11 mila chilometri di strade, e 1.661 di ferrovia.
Non solo. Per il nuovo programma, quello 2014-2020, siamo ancora nella fase di approvazione. La Campania è stata l’ultima Regione a presentare, nel dicembre scorso, il suo piano operativo. Ultima non in Italia ma in tutta Europa. Possibile lasciare tutto questo senza tirare le briglia da Roma? Secondo Confindustria, i fondi europei possono garantire la metà degli investimenti fino al 2020 nel Mezzogiorno. E — dice il vice presidente Alessandro Laterza, responsabile per il Sud — la «mancanza di deleghe e di una cabina di regia sono un problema anche in termini di trasparenza». Solo una sottovalutazione? Forse.
Ma il disimpegno potrebbe anche essere intenzionale. Nel Def — il documento di economia e finanza che traccia la strada per gli interventi futuri — il governo ipotizza una riduzione del cofinanziamento, i soldi che lo Stato deve aggiungere ai fondi europei per finanziare i programmi. Possibile che l’idea sia di spostare quei soldi su altre poste, a partire dalla mega riduzione delle tasse annunciata nei giorni scorsi. Bruxelles non gradirebbe. Renzi sta preparando il terreno.