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 2015  agosto 01 Sabato calendario

VIALE MAZZINI: 3 ANNI DI RISPARMI MA RESTA TROPPO POTERE AI PARTITI

IL DOSSIER
ROMA Tre anni di tandem Tarantola-Gubitosi al vertice di Viale Mazzini, e ora: nuova legge sulla Rai approvata ieri e martedì la nuova governance della televisione di Stato. In questi tre anni è cambiata molto la Rai e molto ancora sarebbe potuta cambiare, se la dirigenza di questa azienda non avesse dovuto rispondere a un consiglio di amministrazione di natura politica, dotato per legge di super-poteri. La radiografia della Rai, dopo tre anni e ora che la coppia Tarantola-Gubitosi lascia il Settimo piano, descrive comunque un corpo risanato in molte sue parti. Anche se il tempo per riorganizzare e rilanciare è stato, appunto, non lungo quanto sarebbe stato necessario per completare l’opera.
I PARTITI Il problema di base, in questo modello aziendale sui generis, è rappresentato dai poteri del direttore generale, che sono limitati: e basti pensare alle nomine che devono essere approvate dal Cda. E insomma senza il consenso e il voto dei partiti e dei loro rappresentati a Viale Mazzini, non si può promuovere o rimuovere nessuno delle aree editoriali. Cosa che invece un amministratore generale farebbe in mezz’ora, o meno, tramite una telefonata al capo del personale. E dunque, tre anni vissuti pericolosamente? Verrebbe quasi da dire l’opposto, ossia tre anni vissuti ”normalmente”, se si considera che la Rai è sempre stata per italica tradizione un cratere di polemiche politiche a getto continuo. Stavolta il grado di incandescenza dentro e intorno a questa azienda cruciale sembra essere risultato minore. Forse anche perchè la governance uscente è stata nominata da un governo tecnico (quello di Mario Monti) e ha cercato di agire sulla base di criteri manageriali di tipo tecnico, ossia quasi inediti in questo mondo molto particolare.
A Saxa Rubra ancora si racconta una aneddoto. Il 18 luglio del 2012, giorno successivo all’insediamento del direttore generale, Gubitosi e Tarantola vanno in visita negli studi televisivi e si soffermano con lo sguardo sulle montagne di video-cassette presenti in cui locali. Devono avere avuto in quel momento, cioè da subito, l’impressione che la Rai parlava del passaggio al digitale da svariati anni, ma non si era ancora fatto nulla per entrare davvero nel nuovo mondo. Tre anni dopo, uno dei cambiamenti più sensibili tra la Rai di prima e quella di adesso può essere considerata la digitalizzazione. E di fatto, questa azienda ha cominciato trasformarsi da operatore radiotelevisivo in media company.
PIANO INDUSTRIALE Il piano industriale messo in campo ha avuto tre obiettivi principali: recuperare il gap e riportare la Rai all’avanguardia tecnologica, migliorare l’offerta e rimettere in equilibrio i conti. Che erano peggiorati anche a causa del crollo della pubblicità e dalla progressiva diminuzione del canone dovuta all’evasione. La razionalizzazione e riorganizzazione aziendale ha prodotto un risparmio di circa 92 milioni, rispetto al 2013, nei costi esterni per beni e servizi. Mentre la riduzione complessiva dei costi è di circa 186 milioni rispetto al 2012. E ancora: le spese di produzione sono calate del 12 per cento per ora prodotta.
Un’inversione di tendenza, in questi tre anni, si è avuta nella parte editoriale. La Rai si era troppo avvicinata al modello della tivvù commerciale (esempio: l’Isola dei famosi su ReteDue) ma poi si è puntato (continuando a mantenere lo share più alto tra tutte le televisioni europee) sulla qualità. Basti pensare ai Dieci Comandamenti di Roberto Benigni. O ancora: si è cercato di lavorare sulle connessioni tra l’offerta televisiva e i grandi temi civili: come la legalità. Di sicuro, però, si sarebbe potuto fare di più su un aspetto importante. Quello dell’innovazione del linguaggio televisivo e delle forme dell’intrattenimento. Il che ha prodotto anche tensioni tra i vertici e RaiUno. E come non ricordare il flop della nuova trasmissione di Raffaella Carrà? Quell’insuccesso può valere come riprova di quanto RaiUno non sia riuscita ad introdurre l’innovazione che le è stata richiesta. E Sanremo? Il Festival è andato bene il primo e il terzo anno dell’epoca Tarantola-Gubitosi. I quali avrebbero dovuto mostrare un piglio più deciso nel cambiare RaiUno. Nel complesso però la Rai tre anni dopo può essere considerata migliore di quella che c’era prima. Nonostante la zavorra di una legge limitativa e del tutto specifica, quella in base alla quale il Cda prende le decisioni che nelle aziende normali prenderebbe l’amministratore delegato. E anche involontariamente, e per un fatto statutario, il Cda tende a rallentare le scelte del direttore generale. Una figura che adesso però, secondo la nuova legge, anche in Rai comincerà a somigliare a quella che hanno i suoi competitor italiani e stranieri.
Insomma piano industriale, più riorganizzazione (ridotto il numero delle aree aziendali), velocizzazione dei processi produttivi e responsabilizzazione dei manager (valore non tipico della Rai del passato). La quotazione di RaiWay, in solo quattro mesi, ha smentito tutti gli scetticismi. E ha rafforzato assai il bilancio. Dalla quotazione ad oggi, RaiWay è salita quasi del 60 per cento. Moody’s ha dato il rating per la prima volta alla Rai: e ciò ha permesso di emettere un bond di 5 anni all’1 e mezzo per cento, mentre prima si pagava il 4 e mezzo alle banche.
LE NEWSROOM
Si è lavorato sul fronte dell’efficienza interna (incrementata) e molto si è puntato sulla fiction, in modo da aumentare anche l’indotto dell’industria audiovisiva. Così sono stati riaperti gli studi Lumic a Torino, e dall’autunno la Rai lavorerà pure a Cinecittà, dove ha preso in affitto alcuni studi per produrre intrattenimento e fiction. Alcuni altri punti: la creazione di Rai Cultura, trainata dai programmi sulla storia (l’Italia è il Paese in cui più persone vedono queste trasmissioni); la riorganizzazione dell’offerta web (da 600 a 100 siti Rai); e la creazione delle due newsroom (informazione) per le quali il nuovo Cda dovrà fare le nomine apicali. Si poteva fare di più, tempo permettendo, per quanto riguarda la riorganizzazione delle reti. Sono un concetto analogico e superato dal mondo digitale. Nel quale i contenuti vanno organizzati per tematiche e non per reti. Ora la palla passa alle new entry.