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 2015  agosto 03 Lunedì calendario

«GIOCO PER DUE: IL VERONA E MIO FRATELLO«  

Vangelis Moras, difensore del Verona, sabato è tornato a giocare due settimane dopo la morte del fratello. Dopo lo strazio, uno squarcio di normalità.
La foto in ospedale, con quella maglietta. Superman ha perso i suoi poteri?
«Pensavo che mio fratello ce la potesse fare, le cose stavano andando bene, lo aspettavo a Verona per l’ultima partita di campionato con la Juve. Poi a marzo ha fatto gli esami, i valori erano sballati: i medici hanno detto che la situazione era disperata e gli hanno permesso di lasciare l’Australia e tornare in Grecia, a Larissa».
Lo scorso anno gli ha donato il midollo osseo: un gesto generoso ma inutile.
«Purtroppo è finita male perché era una forma di leucemia rara e molto aggressiva, io ero compatibile al 100% e il trapianto è una mossa che spesso si dimostra decisiva. E’ semplice, non è doloroso, non è invasivo: con un test sulla saliva si vede c’è compatibilità, poi vieni collegato a una macchina per 4 ore, ti prelevano 200 millilitri di staminali e intanto puoi fare quello che vuoi, leggere o guardare un film o parlare con gli amici».
E’ tornato subito in campo.
«Sì, dopo neanche una settimana e senza nessun problema. Spero che il mio gesto serva a dimostrare quanto sia importante aiutare gli altri, per questo mi sto impegnando con l’associazione donatori di modello osseo di Verona e con la fondazione che sta nascendo in Australia: avrà una sede in Italia e sarà intitolata a mio fratello».
Perché Australia?
«Dimitris era in vacanza dai nostri cugini quando ha scoperto di essere malato e in Australia c’è una forte comunità greca che ha aiutato la mia famiglia. Qui è nata l’idea della maglietta di Superman che hanno poi indossato i compagni e lo staff tecnico durante la preparazione estiva di un anno fa. Fantastici, loro e tutte le persone che mi sono state vicine, anche fuori dal mondo del calcio».
Vangelis, come si riparte?
«Con il lavoro. Il fatto di non avere ricordi di lui in Italia mi sta aiutando molto a tenere la mente sgombra. Certo che la mia vita da quel giorno è stata stravolta».
Cioè?
«Ho capito in questi giorni qual è il vero valore delle cose, che è inutile incazzarsi per stupidate o inseguire i soldi o l’ambizione quando poi è Dio a decidere il tuo destino, magari in pochi istanti. Giocherò con meno stress e dedicherò a Dimitris gli ultimi anni della mia carriera. Era un ragazzo di 35 anni, forte, positivo. Se lo merita».
Suo fratello giocava?
«Sì, ha cominciato come me nel Larissa, poi ha dovuto smettere. Insieme abbiamo aperto una scuola calcio».
Com’era stato curato in Australia?
«Benissimo, nel miglior ospedale di Melbourne».
Nella Grecia a un passo dal fallimento come sarebbe andata?
«Non lo so, non si può dire».
Che idea si è fatto della crisi?
«Che come sempre la gente comune paga per le colpe dei politici. Speriamo di rialzarci, anche se ci vorranno tempo e fatica».
Un anno orribile, il suo: a fine marzo in Ungheria l’incidente stradale in taxi con Fetfatzidis e Tachtsidis.
«Tornavamo da una partita della Nazionale, ce la siamo vista brutta, anzi bruttissima. Una delle persone che viaggiavano sull’altra auto è morta nel frontale».
Proviamo a parlare di calcio?
«Proviamo».
Come va la preparazione del Verona?
«Con Pazzini, la squadra mi sembra più forte. Certo, ci sono giocatori nuovi, deve crescere ancora, trovare gli automatismi giusti».
E’ arrivato lo svedese Helander, difensore centrale, 12 anni meno di lei. Teme di perdere il posto?
«Ma no, spazio ai giovani. Per esempio, Rafa Marquez (classe ‘79, ndr )…».
Può sempre fare il terzino come nel Bologna di Malesani.
«Eh no, chi ce la fa a correre cosi tanto. Alla mia età: iI 26 agosto saranno 34».