Tommaso Ciriaco, la Repubblica 2/8/2015, 2 agosto 2015
IL PIANO DELLA MINORANZA “RESA DEI CONTI SULLE RIFORME IL SENATO SARÀ UN VIETNAM”
ROMA.
È un pacchetto leggero, capace però di mandare a sbattere il governo. Quindici, venti emendamenti al massimo. Stravolgono il ddl Boschi. Sono pronti, ma diventeranno pubblici venerdì mattina, allo scadere del termine fissato in commissione. Studiati con cura dalla minoranza del Pd per trasformare Palazzo Madama in un «Vietnam». Assomigliano a una trappola piazzata sotto la poltrona di Matteo Renzi. Cosa propongono? Di tornare al Senato elettivo, tanto per cominciare, e di cambiare radicalmente le regole per l’elezione del Colle. In poche parole, di ribaltare la riforma. «E stavolta – promette Federico Fornaro – andremo fino in fondo».
La task force antirenziana ha già elaborato il piano. L’idea è bissare quanto accaduto pochi giorni fa sulla riforma della Rai, con l’esecutivo costretto a issare bandiera bianca su un emendamento della minoranza. Il via libera alla “missione” arriverà martedì sera, al termine di un summit riservato dei ventisette senatori della minoranza. Poi la piccola slavina piomberà sulla commissione Affari costituzionali del Senato. E gli emendamenti, se bocciati, saranno ripresentati in Aula dopo la pausa estiva. Identici. «Spero che Renzi si renda conto che serve un accordo politico e accetti le nostre proposte – sostiene Miguel Gotor – altrimenti agiremo di conseguenza». Il senatore bersaniano lavora da settimane a questa sfida al governo. Con lui, Vannino Chiti, Doris Lo Moro e Paolo Corsini. La madre di tutte le battaglie è l’articolo due, quello sul Senato elettivo. «Abbiamo già respinto al mittente – giura Gotor – le ipotesi di accordicchio al ribasso che ci hanno proposto». Qual è invece lo schema dei dissidenti? Un Senato elettivo di primo grado, affidato a parlamentari a tempo pieno. Niente listino bloccato per i consiglieri-senatori, ma sfida vera per far scegliere ai cittadini i propri rappresentanti a Palazzo Madama. «Su questo punto – assicura Gotor – vedo un largo consenso nelle opposizioni. Paradossalmente, l’ostacolo è Renzi».
Il pacchetto è ricco di proposte che manderanno su tutte le furie Maria Elena Boschi. Una riguarda la scelta dei giudici costituzionali. «Invece di farne eleggere cinque dal Parlamento in seduta comune con un peso decisivo dei deputati – è meglio che due vengano scelti solo dal Senato». Un’altra proposta riguarda invece il Quirinale. L’obiettivo dei ribelli è allargare nuovamente la platea dei grandi elettori, affiancando ai 615 deputati e ai 100 senatori anche i sindaci delle duecento città più grandi d’Italia. «Il problema è sempre lo stesso – ricorda Fornaro – e si chiama Italicum: chi vince alla Camera decide tutto, compreso il Capo dello Stato». Bisogna bilanciare, insomma, annacquando con la “variabile dei sindaci” lo strapotere della maggioranza di governo. Solo all’ultimo i dissidenti decideranno se piazzare anche un altro emendamento bomba: prevede che in caso di stallo nella scelta del Presidente (probabilmente dopo il decimo scrutinio) si proceda a un ballottaggio tra i due candidati più gettonati. Non è tutto. I frondisti vogliono correggere il ddl Boschi rafforzando i poteri di controllo del nuovo Senato sulle Autorità indipendenti e sulle politiche comunitarie, ma anche obbligare alla doppia lettura parlamentare le leggi concordatarie e quelle su bioetica, amnistia e indulto.
Ai renziani non sfugge l’effetto destabilizzante del “pacchetto dei ventisette”. Il pallottoliere di Palazzo Madama è costantemente monitorato dal solito Luca Lotti. Il potente sottosegretario ha già spiegato al premier che la battaglia è destinata a essere combattuta sul filo. E che almeno per adesso la pattuglia di Denis Verdini non è sufficiente a compensare il dissenso interno al Pd. Per questo occorre concedere tempo allo scissionista berlusconiano, per questo la partita sulla riforma è già slittata di alcuni mesi.
La sfida più delicata, come detto, si giocherà sull’articolo due. Nel governo c’è chi esclude, in punta di regolamento, che si possa tornare all’elettività di Palazzo Madama. La decisione finale spetta comunque a Grasso. E nella minoranza si considera ormai certo che il Presidente voglia dare un dispiacere a Palazzo Chigi. «Elettività o meno – ricorda Gotor – un voto sull’articolo due andrà comunque fatto. E a quel punto noi potremmo votare contro e affossare il testo, facendo ripartire da zero il ddl Boschi». E forse anche la legislatura.
Tommaso Ciriaco, la Repubblica 2/8/2015