Roberto Giovannini, La Stampa 1/8/2015, 1 agosto 2015
IL LAVORO NON PARTE, BATOSTA SUI GIOVANI
Non è questione di «gufi». È proprio che per il momento l’economia italiana non genera posti di lavoro, nonostante gli incentivi generosissimi varati a suo tempo per chi assume, e nonostante la deregolamentazione del mercato del lavoro. A giugno, secondo i dati provvisori dell’Istat sull’andamento del mercato del lavoro, gli italiani con un posto di lavoro sono stati 22mila in meno rispetto al mese di maggio (-0,1%) e 40mila in meno rispetto allo stesso mese del 2014 (-0,2%). E non solo: aumenta anche la disoccupazione, che è risalita al 12,7 per cento (55mila senza lavoro in più) dopo il calo nel mese di aprile (-0,2 punti percentuali) e la stazionarietà di maggio.. E per i giovani tocca il livello più alto dall’inizio delle serie statistiche dell’Istat, nel lontano 1977: siamo addirittura al 44,2%.
Una pesante batosta per il governo, che tanto ha scommesso sulla ripresa dell’economia e dell’occupazione. E che dopo la mazzata del Fondo Monetario Internazionale di qualche giorno fa (la profezia per cui serviranno venti anni per tornare ai livelli occupazionali pre-crisi) deve ora incassare quest’altra doccia fredda. L’unico punto positivo – che non a caso il premier Matteo Renzi ha cercato di valorizzare al massimo nel suo commento ai dati Istat – è la diminuzione di 131mila unità del numero degli italiani «inattivi», cioè talmente sfiduciati da non tentare nemmeno di compiere un’azione di ricerca di lavoro. In altre parole, più italiani pensano che un lavoro possa alla fine esserci; non lo trovano, e entrano nel lotto dei disoccupati.
Con il Jobs Act, afferma il premier, «abbiamo tra virgolette un po’ stimolato l’occupazione, abbiamo fatto un grandissimo investimento sui posti di lavoro e questo ha consentito di tornare al segno più, ma l’occupazione è l’ultima cosa che riparte dopo un periodo di crisi». Tuttavia, «quelli che vengono considerati inattivi, che erano sfiduciati o rassegnati, tornano a crederci», commenta Renzi, che annuncia «un piano per cui nei prossimi anni parte significativa del problema di disoccupazione giovanile deve venire affrontato con l’impiego in cultura», dai 100mila insegnanti assunti alla creazione di posti nei musei.
I sindacati, in allarme per i numeri peggiori delle attese, invitano il governo a svegliarsi. Dal vertice della Cisl, Anna Maria Furlan, si augura che questi dati «destino il governo dal suo torpore e dal concetto tutto renziano del potere fare tutto da solo», e chiede «un vero programma per la crescita con investimenti di qualità». Dalla Uil, il segretario confederale Guglielmo Loy dichiara che «strumenti, più o meno condivisibili, per invogliare le aziende ad assumere, restano monchi e inefficaci in periodi di forte crisi come questo, se non si dà la precedenza ad azioni e politiche volte a investire nella crescita». Il segretario confederale della Cgil, Serena Sorrentino, chiede di «modificare radicalmente il Jobs Act e varare vere politiche attive, un sistema di ammortizzatori che risponda alle esigenze del mercato del lavoro, e un piano che crei nuova occupazione». Per il ministro Giuliano Poletti, però, «i numeri di giugno confermano che siamo di fronte a dati soggetti a quella fluttuazione che caratterizza una fase in cui la ripresa economica comincia a manifestarsi».
Roberto Giovannini, La Stampa 1/8/2015