Maria Luisa Colledani, Il Sole 24 Ore 1/8/2015, 1 agosto 2015
PECHINO SENZA NEVE OSPITERÀ LE OLIMPIADI INVERNALI 2022
Per un pugno di voti (44 a 40) Pechino ospiterà i Giochi invernali del 2022: sarà la prima città nella storia olimpica a essere sede di un’edizione estiva (2008) e di una invernale. E l’Asia orientale diventerà cuore dello sport: a Pyeongchang, in Corea del Sud, i Giochi invernali del 2018 e a Tokyo quelli estivi del 2020.
Ieri, a Kuala Lumpur, in Malaysia, il congresso annuale del Cio ha preferito Pechino ad Almaty, in Kazakhstan. Il successo della capitale cinese è meno netto del previsto. A convincere il comitato olimpico è stato un dossier di buone intenzioni e tante infrastrutture: budget da 3,9 miliardi di dollari (nel 2008 furono spesi 43 miliardi; 50 a Sochi nel 2014), riutilizzo di due dei faraonici impianti del 2008, il Bird’s Nest Stadium e il Water Cube, e un programma da 30 milioni di dollari per portare a sciare 300 milioni di cinesi e per creare una squadra all’altezza dell’evento. Ma restano tanti dubbi: Pechino non è una ridente località invernale (si trova a 43 metri sul livello del mare), le montagne più vicine sono a 80 km (Yanqing) e a 195 km (Zhangjiakou) ma Pechino ha garantito di costruire per i Giochi una linea ad alta capacità ferroviaria verso le due città e ha fatto promesse (ma, chissà...) anche per abbattere l’ inquinamento a livelli ormai incompatibili con il vivere. Sull’altro piatto della bilancia, Almaty aveva messo montagne vere con neve “vera”, tanto da farne lo slogan della candidatura “Keeping It Real”, in un raggio di una ventina di chilometri e il 70% degli impianti già realizzati, per un budget complessivo di 6 miliardi di dollari. Ma non è bastato. E comunque resta il problema dei diritti umani, comune a entrambi i Paesi, tanto che, nei giorni scorsi, un gruppo di avvocati, giornalisti, accademici e protagonisti delle proteste in piazza Tiananmen, aveva chiesto al Cio di porre il veto su Pechino e, una volta scelta la città, Minky Worden, responsabile delle iniziative a livello globale di Human Rights Watch, ha detto che «in Cina, in ogni settore, è in atto il peggior giro di vite dal 1989 a oggi», mentre i cinesi scendevano nelle strade a festeggiare la vittoria.
Il presidente del Cio, Thomas Bach, dopo la votazione fatta in forma scritta per un’interruzione del sistema elettronico, ha alzato la scritta Beijing 2022 e il presidente cinese Xi Jinping ha detto che saranno «Giochi fantastici, straordinari ed eccellenti». In questi aggettivi c’è il vero motore che ha spinto la Repubblica popolare a correre per l’Olimpiade, dopo aver fallito con Harbin la corsa per l’edizione del 2010. Lo sport è potere, è mostrare al mondo quanto si conta, quanto si può vincere ancora, e non solo in campo economico (in questo senso Pechino nel 2008 aveva sorpreso il mondo). Ma negli ultimi anni, soprattutto dopo lo scoppio della crisi, i Paesi non si sono lanciati in avventure troppo onerose per i conti pubblici e hanno avanzato candidature con il contagocce. Oslo/Stoccolma hanno fatto un passo indietro per il 2022 (Leopoli si era autoesclusa dopo lo scoppio della guerra in Ucraina); pochi giorni fa Boston ha ritirato il dossier per i Giochi estivi del 2024 e il sindaco, Martin Walsh, ha giustificato così la scelta: «Non firmerò un accordo per ospitare i Giochi se non avrò garanzie che i miei cittadini non dovranno firmare il conto finale, mi rifiuto di ipotecare il futuro della città». La stessa Uefa, che governa il calcio del Vecchio continente, ha deciso che l’Europeo 2020 non sarà ospitato da un solo Paese ma il campionato girerà in tredici Paesi.
Questa è la crisi, anche per lo sport. D’altra parte, è assodato che i grandi eventi costano, e tanto (la Corte dei conti del Brasile ha stabilito che la spesa pubblica per il Mondiale sarebbe bastata a finanziare per due anni la Bolsa Familia, il programma di welfare, dell’intero Paese) e che lasciano cattedrali nel deserto, da Sarajevo 1984, passando per Atene 2004, laddove la tragedia greca ha avuto inizio, fino a Pechino 2008.
Il Cio, con l’Agenda 2020 votata a fine 2014, punta alla “salvaguardia dell’unicità dei Giochi olimpici e al rafforzamento dello sport nella società”. Questo significa più attenzione alle risorse economiche, a candidature “snelle” e ai diritti umani. Come, lo si vedrà. Per ora, alla luce della scelta di Kuala Lumpur, l’Agenda 2020 pare l’imprevista caduta sul ghiaccio di un atleta di belle speranze.
Maria Luisa Colledani, Il Sole 24 Ore 1/8/2015