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 2015  luglio 30 Giovedì calendario

PARTITA 15 MESI PRIMA DEL VOTO, LA CAMPAGNA PER L’ELEZIONE DEL PRESIDENTE USA VIENE CONDOTTA A SUON DI COLPI BASSI FRA TUTTI

da Washington
È di gran lunga senza precedenti la campagna elettorale americana, quella che deve scegliere il successore di Obama e che, partita in anticipo come è tradizione Usa, è degenerata in una rissa all’ultimo sangue quindici mesi prima dell’appuntamento alle urne. La normale polemica rischia di andare oltre i limiti nella fase finale, ma quest’anno tutti i precedenti sono stati superati e sconvolti.
Impegnati in una rissa senza remore, i sedici candidati repubblicani alla Casa Bianca sono passati in pochi giorni da una campagna di distruzione reciproca a un’offensiva da «guerra totale» contro il presidente in carica, che neppure è candidato.
In poche ore un aspirante alla Casa Bianca, il senatore Tom Cotton, ha paragonato la politica estera di Obama e del suo segretario di stato John Kerry alla viltà di Ponzio Pilato. Immediatamente un suo concorrente, un altro senatore, Ted Cruz del Texas, ha ipotizzato che Obama sia «il massimo patrocinatore del terrorismo nel mondo». Ma neppure lui era arrivato al livello di un altro candidato, Mike Huckabee, che ha paragonato Obama non a un «giudice» vile come Ponzio Pilato, bensì a uno sgherro da campo di concentramento, come qualcuno che «accompagna gli ebrei alla porta del forno crematorio».
Tutti costoro sono stati evidentemente attratti dalla coincidenza temporale fra l’imminente dibattito in senato per la ratifica del trattato nucleare con l’Iran e il primo dibattito fra i sedici candidati in calendario fra pochi giorni.
Questo appuntamento ha scatenato le rivalità personali e ha reso quasi comune il ricorso alle coltellate nella schiena. Il recordman, fino a poche ore fa, era un personaggio molto particolare, non un uomo politico, che all’ultimo momento ha annunciato la propria candidatura e ha cominciato a sparare a zero sui concorrenti, «elevando» lo stile del dibattito all’accusa di viltà a una figura considerata eroica come il senatore John McCain, generalmente ritenuto un eroe della guerra del Vietnam. Ufficiale di aviazione, fu abbattuto in una delle prime battaglie e rimase rinchiuso per oltre cinque anni in un carcere nordvietnamita e sottoposto a torture. Rientrato zoppicante dal campo di concentramento, si è buttato in politica puntando molte delle sue carte sulle «ferite», fisiche e psicologiche, della prigionia.
Molti hanno trovato discutibili alcune sue proposte legislative, ma nessuno aveva osato finora contestargli meriti e fama del suo servizio militare. Poi è arrivato il signor Trump, supermiliardario che ha fatto la sua fortuna soprattutto sul gioco d’azzardo a Las Vegas e che ha contestato a McCain di non essere un uomo di coraggio, perché lui è stato fatto prigioniero e gli eroi non vengono catturati. McCain ha reagito, altri hanno «aperto il fuoco» contro Trump definendolo un avventuriero, e il clima così creato in famiglia ha fornito l’occasione o la scusa a chi aveva voglia di trasferire questa «strategia omicida» ai rivali, cioè agli avversari della campagna elettorale.
L’occasione era appunto l’accordo con l’Iran, raggiunto dopo anni e anni di trattative con la partecipazione e il consenso di altre cinque potenze partecipanti ai dibattiti (Gran Bretagna, Francia, Germania, Russia, Cina). Non poteva essere altro che un compromesso, il mondo lo ha accettato come tale, riserve sono venute dall’Arabia Saudita e dagli Emirati, dal premier israeliano Netanyahu e dall’estrema destra americana. L’opinione pubblica è invece favorevole a tutti i livelli, compreso il settore dell’elettorato Usa che potrebbe essere diffidente o ostile (gli ebrei americani), ma che invece emerge dai sondaggi come favorevole. L’ultima trincea per bloccare questo trattato è il dibattito in senato, che dovrà concludersi entro settembre. Di qui il fiorire delle polemiche.
A questo punto Obama si è sentito obbligato a rispondere e lo ha fatto in termini inconsueti al suo stile moderato. Paragonato a uno sgherro da campo di sterminio che accompagna le vittime alla porta del forno crematorio, giustifica, quasi impone una durezza nella risposta: «I commenti di Huckabee sarebbero ridicoli se non fossero tanto tristi e non fossero parte di una tendenza generale. Abbiamo un senatore in carica che ha chiamato Ponzio Pilato, John Kerry, un altro che mi ha definito il massimo patrocinatore del terrorismo nel mondo. Questi sono leader del partito repubblicano. I dibattiti interni a quel partito hanno prodotto finora questi risultati in una escalation retorica che si può definire come “ciarlataneria”. Che i repubblicani vadano avanti con questo stile nelle loro contese interne è triste (e Obama ha citato come esempio McCain, ndr), ma che rischino di estenderlo all’intera vita politica è inaccettabile».
pasolini.zanelli@gmail.com
Alberto Pasolini Zanelli, ItaliaOggi 30/7/2015