Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 30/7/2015, 30 luglio 2015
RENZI E VERDINI ASSIEME DAL 2008
Sul soccorso di Denis Verdini a Matteo Renzi, che a settembre dovrebbe dispiegare la sua forza al Senato, s’è scritto molto in questi giorni. La sinistra del Pd s’è ampiamente stracciata le vesti e Massimo D’Alema ha preconizzato che questa alleanza porterà guai al premier.
Le cronache politiche si sono preoccupate di ricordare tutte le disavventure giudiziarie dell’ex-coordinatore del Pdl, dalla vicenda della sua banchetta, il Credito cooperativo di Campi Bisenzio (Fi), cresciuta fino a diventare Credito cooperativo fiorentino, e poi incappata negli strali di Bankitalia, a quelle del suo quotidiano, il dorso fiorentino de Il Giornale, all’inchiesta per la cosiddetta P3. E, a ben ricordare, anche all’epoca del Nazareno, la cui anima politica fu appunto Verdini, si scrisse molto del legame fra l’allora segretario Pd, Renzi, e quello che era, all’epoca, il più ascoltato consigliere del Cavaliere.
Certo, lo si faceva con una certa circospezioni, perché allora il sindaco di Firenze era in ascesa potente. Però, quando Ferruccio De Bortoli sparò la storica bordata sugli accordi che avevano «lo stantio odore di massoneria», molti ci lessero un riferimento polemico a Verdini che, essendo nato politicamente repubblicano, transitando poi persino dal Patto Segni, avrebbe dovuto, chissà perché, avere simpatie per le logge. In verità, la stima fra Renzi e Verdini, ché di amicizia non si può certo parlare, nasce molti anni prima, per una certa assonanza di carattere, una certa predilizione per il fare e una certa uggia per le chiacchiere in politichese.
Ma fra quelli che, spesso vengono dipinti come cinici protagonisti della politica nazionale, c’è in realtà una condivisione che molti ignorano e che, peraltro, dimostra come, probabilmente, siano meno scaltri di come li si voglia dipingere.
Anzi la sintonia fra i due si rafforzò proprio grazie a una vicenda che li toccò entrambi: la morte prematura di un politico fiorentino che tutti e due conoscevano bene e apprezzavano. Si chiamava Graziano Grazzini ed era il capogruppo di Forza Italia alla Provincia di Firenze, quando il presidente ne era appunto un giovane Renzi. Grazzini, cinquantenne, ciellino, già impegnato nella Dc, e che era arrivato fra gli azzurri, non senza travagli, via Cdu, era uno che a Palazzo Medici Riccardi, sede del governo provinciale, a Renzi, non ne risparmiava una. Senza saltargli alla giugulare, con rispetto, gli confezionava ogni lunedì, alle sedute del consiglio, le sue proverbiali «punturine di spillo», come le chiamava, ossia documentatissime contestazioni alla giunta, per la verità più spesso indirizzate ai Ds, che provavano a farla da padroni col giovane al presidente.
Grazzini era peraltro anche un avversario interno di Verdini in Forza Italia, stava infatti con Paolo Bartolozzi, storico consigliere regionale andreottiano, e con Roberto Formigoni, che con Raffaele Fitto. E Denis era invece un azzurro, se non della prima ora, essendo stato candidato di Mario Segni nel ’94, ma certo della seconda, e gli ex-Dc li aveva in uggia. Soprattutto era il padrone del partito in Toscana, avendo messo in riga i forzisti antemarcia, come Roberto Tortoli. Le frizioni di Grazzini, con lui e col suo fido braccio destro di allora, Paolo Amato, un altro repubblicano d’origine, non erano infrequenti, sempre in quadro di grande lealtà, incomparabili per esempio con i toni e le dinamiche attuali.
Grazzini però morì improvvisamente, stroncato da un infarto, in una sera di settembre del 2006, nel suo ufficio nel gruppo consiliare forzista e le manifestazioni di cordoglio unirono molti dei suoi amici-avversari, da Renzi, a Verdini fino a rappresentanti dei Comunisti italiani, che pronunciarono in sua memoria parole di grande trasporto. Grazzini era effettivamente una personalità stroardinaria e abbastanza rara nei palazzi della politica fiorentina: misurato, affabile, istintivamente amico anche di chi stava dalla parte opposta, profondamente cattolico in ogni suo gesto pubblico, senza mai essere clericale.
Per questo, una delle prime storiche uscite comuni di Renzi e Verdini, porta la data del 26 agosto 2008, nella sala Mimosa del Meeting di Rimini, dove vennero entrambi a ricordare l’amico scomparso. Era un intervento un po’ laterale della kermesse riminese, l’aveva voluto e organizzato Gabriele Toccafondi, che di Grazzini era stato amico e un po’ allievo, ciellino pure lui, arrivato in Forza Italia da una lista civica di centrodestra. Oggi sottosegretario all’Istruzione col Ncd, Toccafondi era assai apprezzato da Verdini, forse il più stimato dell’area cattolica dei forzisti, tanto da candidarlo alle politiche del 2006 che lo avrebbero portato a Montecitorio.
A Rimini, Renzi e Verdini raccontarono ognuno del loro rapporto con Grazzini: Denis che gli rimproverava sempre, a lui sportivo, di giocare troppo corretto, ossia «coi gomiti sempre bassi»; Matteo che, una volta, scherzosamente, gli aveva chiesto «cosa ci facesse dall’altra parte» e che si augurava un giorno d’averlo dalla sua.
Un incontro a cui assistettero alcuni politici ciellini come Maurizio Lupi, Renato Farina, Raffaello Vignali, deputati, l’allora assessore lombardo Raffaele Cattaneo, l’eurodeputato Mario Mauro.
Non era ciellino ma anche Mario Mantovani, attuale assessore alla Sanità di Regione Lombardia, volle esserci. E a guardare le rarissime foto d’archivio, in sala, si riconosce anche Massimo Mattei, diessino doc, allora nel consiglio comunale di Firenze, e poi assessore renziano a Palazzo Vecchio: un altro conquistato dall’umanità di quel politico sui generis, che aveva condotto lì, assieme, Renzi e Verdini.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 30/7/2015