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 2015  luglio 29 Mercoledì calendario

PERISCOPIO

Secondo il Fondo monetario l’Italia uscirà dalla crisi quando Renzi avrà 60 anni. Jena. la Stampa.

Avetrana, ergastolo confermato per Cosima e Sabrina. Cazzo! Proprio mentre la D’Urso e Vespa sono in ferie. Spinoza. il Fatto.

Si ripete lo schema demenziale che sta facendo la fortuna di Salvini: lui dice che vuole mandare a casa tutti gli immigrati, non importa se rifugiati o clandestini o irregolari, se comunitari (tipo i rom) o extra. È quello che vuole sentirsi dire la stragrande maggioranza degli italiani. Dall’altra parte, invece di ricordargli che gli immigrati immigravano anche quando governava la Lega e la legge Bossi-Fini fu una mega-sanatoria per 700 mila clandestini, e ora sfidarlo a realizzare la sua ideona, magari partendo dalle regioni e dai comuni leghisti, tutti gli rispondono stracciandosi le vesti e gridando al razzismo e alla xenofobia: che, intendiamoci, sono l’unico investimento della «nuova» Lega, ma si nutrono della propaganda parolaia di Salvini e della retorica vuota dei suoi presunti avversari, incapaci di andare a vedere il suo bluff sfidandolo una volta per tutte a fare ciò che dice. Marco Travaglio. Il Fatto.

A Renzi riconosco la difficoltà di essere a capo del paese in un periodo in cui, per essere contro il potere, non serve alcuno sforzo, basta la semplice lettura di un giornale con le notizie. Dopodiché c’è anche parecchia anima italiana, lui ci rappresenta bene: alla fine siamo sempre molto arguti, sappiamo fare le metafore, riderci sopra e questo a discapito della profondità: sempre meglio quel fare furbesco e ammiccante. Sa cosa, a ben pensarci non è mica vero che noi italiani siamo così simpatici. Enrico Vaime, autore satirico (Antonio Di Pollina). la Repubblica.

Il più carogna nei confronti di D’Alema premier fu Vendola che allora aveva sul quotidiano di Rifondazione, una rubrica: il «Dito nell’occhio». Sputacchiò D’Alema senza risparmio. Scrisse che era «grevemente atlantico, goffamente demagogico, cinicamente spoglio di dolore». Con «una spocchia da statista neofita e un parlare frigido e maestoso». Morale? Max era «livido come i neon del metrò». Giampaolo Pansa, scrittore. Libero.

Scalfari mi attacca su L’Espresso. È Licia Compagna ad avvertirmene e a porgermi il giornale. Si meraviglia ch’io mi limiti a misurare la lunghezza dell’articolo: «Non lo leggi?» chiede. «No. Vedo solo che parla di me per una cinquantina di righe. E mi basta. A pubblicità donata non si guarda in bocca». Colgo nei suoi occhi un lampo di ammirazione. Ma a casa, l’articolo lo leggo. E mi arrabbio. Però decido di rispondere solo domani, quando la rabbia mi sarà sbollita. Indro Montanelli, I conti con me stesso. Diari 1957-1978. Rizzoli.

Non siamo in grado di fornire abbastanza armi per una vittoria ucraina contro la Russia, non è il nostro obiettivo, ma dobbiamo tentare di alzare il prezzo per Putin sul campo di battaglia per dare tempo alle sanzioni e altre misure di ottenere il loro effetto. Philip Breedlove. NYT.

Melanie Davis conosce l’Inghilterra, gli inglesi, la politica. E i gabbiani (seagulls). Mi ha spiegato: «Un candidato può prendersela con chi vuole, in cielo e in terra. Non con i gabbiani. Chi tocca i gabbiani è finito». Perché l’assaltano, come nel film di Hitchcock? «Perché i gabbiani sono intoccabili». Anche se strappano il cibo ai turisti, sporcano strade, occupano tetti e balconi, attaccano gli animali domestici e sono diventati aggressivi con gli umani. I gabbiani della Manica sono robusti, assordanti, ubiqui e hanno smesso d’aver paura. Ne fanno, invece, di paura. Cani e tartarughe sono stati uccisi, persone sono state aggredite per proteggere i nidi urbani. I gabbiani attaccano in gruppo, in picchiata. Il fenomeno sta diventando preoccupante. Beppe Severgnini. Corsera.

«Se avesse ancora i capelli, se li tingerebbe come Morandi?». «Me li tingo già, anche se non ne ho più». «È stata una tragedia la calvizie?». «Il mio tallone d’Achille». Massimo Boldi (Stefano Lorenzetto). Panorama.

Al bar (nottetempo edizioni, pp. 64, euro 7) raccoglie il fiore delle conversazioni di due intellettuali seduti al tavolo di un caffè di una Roma «deserta, assonnata, eterna», mentre intorno a loro aleggia una presenza femminea, evocatrice di desiderio. Raffaele La Capria e Umberto Silva (Francesca Frediani). ilvenerdì.

Non mi affido a un paroliere madrelingua inglese perché credo che certi testi, se non sono fino in fondo miei, perdano l’«equilibrio instabile» che probabilmente è la loro forza. Quando subentra il mestiere, perdono l’immediatezza. O almeno mi è successo così con tutte le canzoni. Anche quelle tradotte in spagnolo. Diventano «strutturate, magari sono perfette ma perdono un po’ di magia». In Ragazzo fortunato c’è perfino un errore di grammatica: «Non c’è niente che ho bisogno». Ma va bene così. Jovanotti (Gian Antonio Stella). Sette.

Gli aristocratici odiano i sentimenti comuni, odiano la gente comune, odiano la comunissima volgarità, odiano l’umana banalità, odiano (ma lo confessano con forme oblique ed ipocrite soltanto nelle loro convention tribali) l’umanità intera che non amano, e che vorrebbero però guidare e possedere, per riformarla a colpi di frusta a immagine e somiglianza delle loro nevrosi sprezzanti, e del loro invidiabile rancore. Paolo Guzzanti, I giorni contati. Baldini&Castoldi, 1995.

Roma è questo, una battaglia per la sopravvivenza, piena di colpi bassi, proibiti. Roma è la lupa che allatta i gemelli famelici e instilla la morte dentro di loro, è il fratellicidio, è il rito quotidiano ed eterno della guerra. È tragedia e farsa. «O Roma o morte», gridava la retorica ufficiale di Garibaldi. «O Roma o Orte» gli rispondeva Mino Maccari. Alessandro Trocino. Pièce: Roma contro Roma.

Sillavengo lascia Alessandria all’alba del primo luglio con la sgangherata corriera sovraccarica di indigeni schiamazzanti, ceste, cimici, sacchi, cocomeri e galline, diretta a Marsa Matruth, costretta a innumeri fermate per inattesi motivi. Paolo Caccia Dominioni, Alamein. Longanesi, 1966.

Di colpo si fece un perfetto silenzio, un silenzio immobile, come quando qualcuno muore dissanguato. Heinrich Böll, Opinioni di un clown. Mondadori, 1965.

La Sipra, società appaltatrice della pubblicità televisiva Rai, ha commissionato allo scultore Manzù una statua di Ernesto Calindri nudo. Le parti intime del Calindri saranno coperte da una foglia di carciofo. Amurri & Verde, News. Mondadori, 1984.

Le cose che mi fanno piacere sono sempre meno. E io ho sempre meno voglia di cercarle. Roberto Gervaso. il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 29/7/2015