Fabrizio Salvio, SportWeek 25/7/2015, 25 luglio 2015
L’ESAME DI NAPOLETANO
[Maurizio Sarri]
Maurizio Sarri prende a guardare l’orologio 5 minuti dopo
l’inizio dell’intervista.
Mister, abbiamo appena cominciato...
«Lo so, ma oggi il Tour sale sui Pirenei e voglio vedere la tappa. Tra una partita di calcio e una gara di ciclismo, in tv scelgo sempre la seconda».
Il personaggio è così, prendere o lasciare. Maglietta, pantaloncini, barba di un paio di giorni, immancabile sigaretta («Ma non fotografatemi mentre fumo»), aria disincantata di chi ha visto molto e capito (quasi) tutto in 25 anni di gavetta sulle panchine di mezza Italia, da nord a sud, prima della grande occasione: questa, a Napoli. Dove arriva quando all’anagrafe gli anni sono diventati 56 e dopo aver portato a termine le sue più importanti imprese da allenatore: le promozioni in B e in A dell’Empoli, condotto brillantemente alla salvezza nell’ultima stagione.
Napoli era nel suo destino: Il è anche nato, sia pure per caso.
«Sì, mio padre è toscano ma ha lavorato a Napoli per 5-6 anni. Faceva un mestiere difficile, mica come il mio: manovrava la gru nei cantieri dell’Italsider, a Bagnoli. Io sono nato lì, e ho cominciato a fare il tifo per il Napoli. Quando siamo tornati a Firenze, alle elementari ero l’unico della classe a tenere per gli azzurri».
E a Napoli era tornato, prima di ora?
«Sì, insieme a mio padre, per vedere la casa dove ero nato».
Cosa conosce della città?
«Il centro. Ma a colpirmi è la napoletanità. L’amore smisurato della gente per il posto in cui vive e la squadra di calcio che lo rappresenta».
Ci ha già fatto i conti, con questo amore?
«Le rispondo raccontandole cosa mi è successo poche settimane fa. Albergo sul lungomare, mattinata di sole. Decido di fare una passeggiata. Esco, e vengo assalito dalla folla. Due poliziotti appostati all’ingresso dell’hotel mi afferrano per le braccia, mi fanno ruotare su me stesso e mi riportano dentro. “Tutto a posto, mistèr? Adesso facciamo una foto?”», (ride)
Cosa farà con la famiglia? La lascia in Toscana o se la porta dietro?
«Sono abituato ad avere mia moglie e mio figlio con me. Hanno le loro attività ma, uno alla volta, verranno giù».
Ha deciso dove andrà ad abitare?
«Non vorrei allontanarmi troppo da Castelvolturno, dove ci alleniamo. Ma mi piacerebbe sistemarmi nella zona in cui sono nato, tra Bagnoli e Pozzuoli».
Accennava alla napoletanità. Vediamo allora qual è il suo livello in merito: Eduardo o Totò?
«Totò è più popolare, Eduardo forse è più di nicchia, anche se a sua volta famosissimo. Dico Eduardo».
Massimo Troisi o Giancarlo Siani?
«Sono innamorato di Troisi».
Chi era Matilde Serao?
«Qui mi coglie impreparato».
Giornalista e scrittrice, fondò il quotidiano «Il Mattino». Il nome di almeno un grande scrittore napoletano?
«Erri De Luca».
Il ritornello di ’O surdato ’nnamurato?
«Ojvita, ojvita mia...».
Il piatto napoletano preferito?
«Non conosco molto la cucina partenopea, ma ho l’impressione che il rischio di raggiungere i 100 chili sia alto».
Cosa c’è di napoletano in lei? Un pizzico di sana scaramanzia?
«Sì, quella c’è. Quando fai un lavoro dove una palla sul palo può cambiarti la vita, la scaramanzia entra per forza. E poi mi incazzo tutte le volte che uno sottolinea le mie origini napoletane con un tono che nasconde un razzismo latente».
Mai ci saremmo aspettati che lei partecipasse al coro dei tifosi: “chi non salta juventino è”... Invece.
«Napoli e Fiorentina sono i miei amori, saltare mi è venuto naturale».
Abituato a un look molto informale, come si è presentato vestito al primo incontro con De Laurentiis?
«In jeans e camicia. Il presidente è un vulcano, può metterti in soggezione perché è un uomo di grandi idee e con una personalità forte. Credo di avere instaurato un rapporto schietto: non è una persona facile, ma ha dalla sua l’intelligenza. Non è poco».
Che cosa le ha chiesto?
«Di gettare le basi perché questa squadra abbia un futuro. E la qualificazione in Champions, perché i milioni in ballo fanno la differenza, proprio pensando al futuro».
Perché De Laurentiis ha scelto lei?
«Perché, dice, aveva voglia di basarsi sul lavoro invece che sui nomi».
Lo ha preso come un complimento?
«Sì. E poi mi reputa l’uomo giusto per una squadra più giovane e con una forte identità italiana».
Lei, invece, cosa ha chiesto a lui?
«Amicizia e correttezza. Per rendere al meglio devo sentirmi uno della famiglia».
È stato davvero vicino al Milan?
«Sì. Ho avuto più colloqui con Galliani».
A mercato ancora aperto, cosa manca al Napoli per essere da Champions?
«A me non piace parlare di mercato. Non mi diverte. Sono un uomo di campo che arriva dal basso. Mi interessa più la possibilità di far migliorare un giocatore che già ho, piuttosto che dire: ne voglio un altro. A chi parla di difensori, rispondo che proverò a migliorare la fase difensiva di questa squadra, che a tratti ha qualche lacuna. La fase offensiva la possono fare pure da soli, invece: la qualità è tanta».
Ha detto: “Cercherò di essere all’altezza di questa grande piazza”. Come?
«Restando me stesso, con le mie caratteristiche di uomo e di allenatore. Spero di non essere costretto a cambiare, perché vorrebbe dire fare qualcosa per cui potrei non essere adatto».
Ha detto: “Non capisco perché uno che guadagna tanto non può correre come un collega meno titolato”.
«Sì. Sarà perché arrivo da una famiglia di operai, ma pretendo sacrificio. In tutte le professioni all’aumentare dello stipendio corrisponde un aumento delle responsabilità. Solo nel calcio accade il contrario, e mi pare illogico».
Le regole che ha dato allo spogliatoio dell’Empoli sono le stesse che si possono dare a quello del Napoli?
«Sì, perché io ne do pochissime: una, usare il buon senso perché un gruppo di 30 persone stia insieme. Due, allenarsi a mille all’ora».
A Rugani, ad Empoli, lei poteva dire: “Lavora sul sinistro, il tuo piede debole”. Con Albiol, tanto per stare ai difensori, potrà fare lo stesso?
«Al primo allenamento gli ho detto che era posizionato male col corpo. Poi la sera mi scappava da ridere pensando che questo ha vinto Mondiale ed Europeo».
Tra i suoi c’è un calciatore che la incuriosisce più di altri?
«Insigne mi intriga. È un talentuoso che non ha ancora tirato fuori il meglio. Secondo Sacchi è l’italiano più forte tecnicamente. Il giocatore mi ha chiesto di provarlo trequartista: lo sto facendo».
La Juve è ancora la più forte nonostante le partenze eccellenti?
«Sì. È un fatto di mentalità. Non sbagliano mai contro le piccole, per esempio. A Empoli, i giocatori del Napoli non avevano gli stessi occhi degli juventini».
Questa è l’occasione della sua vita: la sera si addormenta tranquillo?
«Napoli è un’opportunità. Di fronte a un’opportunità uno non può essere preoccupato o nervoso. Io sono felice di fare questo mestiere: se il prossimo anno dovessi ripartire dalla bassa Serie A o dall’alta Serie B, sarei contento lo stesso».
In panchina andrà ancora in tuta?
«Sì. Se poi il presidente avrà esigenze diverse per sala stampa e interviste televisive, mi cambierò. Ma in panchina voglio andare in tuta».