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 2015  luglio 28 Martedì calendario

NIBALI: «CHE GRANDE LEZIONE CHE MI HA DATO QUESTO TOUR»

Il paradosso è che, almeno, si potrà godere Parigi per un po’. L’anno scorso Vincenzo Nibali lasciò la Ville Lumiere la mattina dopo il trionfo, abbastanza presto, direzione Belgio: era vestito di giallo, la vita cominciava a stravolgersi e i primi impegni da vincitore del Tour – leggi circuiti/esibizioni – non potevano attendere. «Ora resto a Parigi un paio di giorni con Rachele e la piccola Emma», dice Vincenzo dopo la festa di chiusura di domenica in un ristorante affacciato sulla Senna: la dote del quarto posto con l’impresa solitaria di La Toussuire è peggio di sogni e speranze della vigilia ma più di quanto ci si potesse attendere dopo il rovescio all’inizio dei Pirenei. «Però da nessuna corsa credo di avere imparato come da questo Tour de France. Ripartirò per inseguire nuovi obiettivi e mi ricorderò per sempre di quello che è successo qui».
RIVALSA Le sconfitte possono insegnare più delle vittorie. A Vincenzo lo ripetono da quando era bambino, anche se a lui, come tutti i purosangue, perdere dà un fastidio enorme. Immaginate allora come si potesse sentire nel momento più difficile di questo Tour. «A La Pierre Saint Martin, il primo arrivo in salita dei Pirenei, ho perso più di quattro minuti. È stato uno schiaffo. Non andavo, cercavo di limitare i danni ma è stato un disastro». E pensare che forse il momento più duro non è stato neppure quello: «Qualche giorno prima, al Mur de Bretagne, dieci secondi di ritardo da un mucchio di corridori. Non esiste che su uno strappo così mi fossi staccato da tante gente! Eppure lo dicevo all’ammiraglia che cercava di incitarmi: più di così non riesco a spingere, più di così non ce la faccio proprio ad andare».
FASTIDIO Sono stati giorni durissimi, quelli. «È tutto l’anno che prendo solo bastonate», aveva confessato Vincenzo agli amici più cari. Addirittura con l’amata Sicilia — dove vivono i genitori e la sorella Carmen — aveva scelto di diradare i contatti: «Non c’era molto da dire», il senso del volersi isolare dopo un Tour iniziato bene nella cronometro di Utrecht ma subito deragliato dai binari sperati il secondo giorno in Olanda tra ventagli e cadute. «Quel colpo l’ho accusato. Doveva essere un giorno a nostro favore e invece abbiamo sbagliato, non siamo stati concentrati. Poi ci si è messa la caduta, che tra dolori di schiena e non perfetto allineamento nel bacino deve avermi condizionato».
A CASA «A un certo punto — riflette ancora il 30enne siciliano dell’Astana ad alta voce — sarò stato ventesimo…». Non è così, alla peggio 13°, ma la considerazione rende bene lo stato d’animo del vincitore 2014. Per la verità più di qualcuno lo «vedeva» già a casa. «No, a quello non ho mai pensato. Neanche se fossi arrivato a mezz’ora un giorno, e poi ancora un altro. Non me ne sarei andato. Ho visto quello che è successo a Van Garderen, non so bene che cosa abbia avuto, forse era già in calo, ma io avrei fatto di tutto per arrivare almeno al traguardo. Sarei dovuto stare male, male davvero, per andarmene dal Tour (Nibali non si è mai ritirato nei 13 grandi giri a cui ha preso parte, ndr). Ma io non stavo malissimo, solo che mi mancava la forza, oltre un certo limite non riuscivo a spingere nonostante non avessi neppure troppo mal di gambe».
VENTO Dalla tappa di Plateau de Beille il vento è cominciato a girare. Nibali resta con i primi, attacca. Si riprende il suo posto. E gira anche l’umore, non rifiuta gli inviti televisivi nel dopotappa nonostante ancora piova e ci sia confusione. Sotto un ombrello rimediato alla meglio rivela: «Qualcosa di buono lo posso ancora fare in questo Tour. E lo farò. Ho il numero 1 sulla schiena e tra qualche giorno non ce l’avrò più. Devo onorarlo. Devo regalare spettacolo ed emozioni a chi mi vuole bene e non mi ha mai abbandonato».
STORIA Il resto è storia più recente: il livello di competitività ritrovato, la risalita in classifica, il volo sulle Alpi, il podio sfiorato e qualche altro piccolo colpo di sfortuna (vedi foratura all’imbocco dell’Alpe d’Huez) a rendere ancora più stridente il contrasto con la cavalcata gialla di un anno prima filata via senza intoppi. «In qualche modo il Tour l’ho raddrizzato, sì. Le cose che non sono andate bene le correggeremo». E si correggerà anche l’impostazione della stagione, dopo due anni basati sull’all-in in Francia. «Lavoreremo meglio in inverno, per essere più brillanti già in primavera come nel 2012, e nel 2013. Non come quest’anno in cui ho sempre inseguito, mi mancava sempre qualcosa». E si cambierà già da gennaio 2016: Nibali è determinato nel voler tornare al Tour de San Luis in Argentina, non gli è sfuggito che dal 2010 le sue assenze (2011 e quest’anno) sono coincise con le stagioni più difficili. Ma l’attesa ora si sposta sulla Vuelta di Spagna, il cui via non è troppo lontano (22 agosto). A Tour non ancora metabolizzato del tutto, non è ancora il momento di affrontare il tema della convivenza con Fabio Aru e Mikel Landa. «Non è un castigo andare alla Vuelta, non lo vivo così. Voglio divertirmi, perché in questo Tour mi è successo soltanto negli ultimi giorni». Lo Squalo continua così a godersi Parigi — e un giorno ad Eurodisney — con la consapevolezza di avere diverse questioni da affrontare quanto prima: i rapporti con l’Astana, in primis. E una certezza sussurrata che è perfetta per il manifesto del riscatto: «Quello che ho imparato in questo Tour sarà fondamentale. Per tornare a vincere».