il Fatto Quotidiano 25/7/2015, 25 luglio 2015
O SALVIAMO LA CRUSCA O UN QUAL’È CI SEPPELLIRA’
Tra i corridoi della Villa Medicea che a Firenze ospita l’Accademia della Crusca, la banca centrale della lingua italiana, l’orrore e l’errore corrono veloci. Tantissime le perversioni sintattiche e grammaticali a cui ogni giorno gli accademici trovano risposta. Si dice eclissi o eclisse? Meglio palmo o palma della mano? Se uovo è il singolare di uova, è corretta l’espressione «inserire le uova a uno a uno?». Nel dubbio, meglio inserire un uovo per volta. Parola di studiosi e ricercatori, indispensabili a far girare il complesso «frullone» – un macchinario che serviva per separare la farina dalla crusca, poi simbolo dell’Accademia – dell’ente che promuove, difende e fa conoscere nel mondo la lingua italiana.
Ma, ancora una volta, la Crusca è costretta a tenere il cappello in mano: la Regione Toscana le ha azzerato i finanziamenti (centomila euro nel 2014, 200mila negli anni precedenti). Quello dello Stato avrebbe dovuto essere di quasi 750mila euro all’anno, ma è stato ridotto a 600mila. La cassa piange e non ci sono i soldi per continuare a finanziare i progetti di ricerca e pagare gli stipendi. Per lavorare bene, l’Accademia avrebbe bisogno di oltre un milione di euro.
Nei giorni scorsi la segretaria amministrativa dell’Accademia ha telefonato al ministero dei Beni culturali per sollecitare il bonifico ordinario del 2015, altrimenti a settembre sarà necessario interrogarsi se aprire o no un fido bancario. Il ministro Franceschini ha promesso che salverà la Crusca. «Si tira avanti sempre così, il ministro ha dato la sua parola – racconta Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia e docente di Storia della lingua italiana all’Università del Piemonte orientale – ma non è il Re Sole che lancia monete d’oro alla folla. E non potrà mettere mano alla Legge Monti sulla spending review. Dovrà trovare una scappatoia per infilarli da qualche altra parte».
A breve saranno necessarie anche grandi ristrutturazioni, per le quali si dovrebbe poter contare su un finanziamento dell’Unione Europea. Per fortuna, in soccorso sono arrivate le Coop fiorentine, che da lunedì prossimo sosterranno un progetto della Crusca: per il momento, sono affascinati da quello sul vocabolario fiorentino e quello sui proverbi.
Della “brigata dei crusconi”, dal 2010, fa parte Stefania Iannizzotto, siciliana, dieci anni di contratti di ricerca e precariato alle spalle. Il suo contratto con la Crusca scadrà a dicembre e in caso di mancato finanziamento, insieme a tutti gli altri precari vedrà sfumare ogni progetto. L’Accademia pure se dimezzata continuerà a esistere, i ricercatori andranno a casa. Lei gestisce la pagina Facebook (più di 200mila like) insieme a Vera Gheno, sociolinguista, che cura Twitter (30mila followers).
Rispondono a tutte le ore, anche alle richieste più assurde che, come le gag e le litigate tra gli utenti, sono all’ordine del giorno. Stefania e Vera si sentono un po’ come il guardiano del faro: sempre attente che tutto vada bene. «Quando rispondiamo non siamo noi, è l’Accademia: siamo forti della sua autorevolezza».
Autorevolezza e ironia. Con la leggerezza giusta per rispondere alle provocazioni esilaranti della redazione di Lercio. La migliore: «L’Accademia della Crusca si arrende: “Scrivete qual è con l’apostrofo e andatevene affanculo”». Anche se non lo sapete, una volta che avrete sbirciato tra le risposte ai dubbi degli utenti, non potrete più farne a meno. Si dice salsiccia o salciccia? Cioccolato o cioccolata? «Di solito rispondiamo a tutti, sorvolando solo su attacchi, e parolacce» racconta Raffaella Setti, della redazione della rivista La Crusca per Voi, che mastica molto bene la scheda – consultabile come tutte le altre su www.accademiadellacrusca.it – sui chewing gum: un nome che cambia da bocca a bocca. Se ne consumano 25mila tonnellate all’anno, e altrettanti sembrano essere gli adattamenti: un modo diverso di chiamarle in ogni provincia italiana.
L’Accademia non è severa con neologismi, abbreviazioni sgrammaticate e anglicismi strampalati. Ma abusare di «brieffare», «gentrification» o «location» ci fa sembrare ridicoli e un po’ goffi.
Il presidente Marazzini – che insieme ai consiglieri e ai 35 accademici lavorano solo per amore delle parole – ci tiene a precisarlo: «Per difendere la sterminata bellezza della lingua italiana senza che sia sterminata, nel senso che la state facendo fuori, basta solo un pizzico di buon senso». Eppure, le battaglie dure da vincere (cioè, perse) sono anche altre: come l’uso scorretto del «piuttosto che», che la Iannizzotto definisce un po’ «infelice». Prova a spiegarlo per l’ennesima volta, ma quella contro l’uso di «piuttosto che» con valore disgiuntivo è una lotta disperata. Facciamo l’esempio classico: «Io vado al mare piuttosto che in montagna». Che cosa capisce la maggior parte dei lettori? «Vado al mare o in montagna» oppure «preferisco andare al mare invece che in montagna»? Stefania intendeva che preferisce andare al mare! «Piuttosto che» è l’espressione di una preferenza: «insomma, prendete una decisione!». Come a dire: «Lorgoglio non serve». Ma l’apostrofo sì.