Silvana Mossano, La Stampa 25/7/2015, 25 luglio 2015
ETERNIT, IL GIUDICE SI FERMA. ATTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE
Sarà la Corte Costituzionale a decidere se l’imprenditore Stephan Schmidheiny potrà essere processato per l’omicidio volontario di 258 persone morte a causa dell’amianto lavorato all’Eternit (poi fallita), di cui il magnate svizzero è l’ultimo proprietario in vita. Un colpo di scena, ieri mattina, all’udienza preliminare in cui era attesa la sentenza del gup Federica Bompieri in merito alla richiesta di rinvio a giudizio per omicidio doloso avanzata dai pm torinesi Raffaele Guariniello e Gianfranco Colace. Il gup non vuole decidere senza aver prima interpellato la Corte sulla questione di legittimità costituzionale relativa al cosiddetto principio «ne bis in idem», secondo il quale non si può processare una persona due volte per gli stessi fatti. E alla Corte, quindi, ha inviato gli atti, sospendendo l’udienza preliminare.
Schmidheiny (inizialmente in concorso con un altro imputato, Louis De Cartier, poi deceduto) era stato incriminato di disastro doloso ambientale permanente a causa dell’amianto lavorato negli stabilimenti Eternit di Casale Monferrato, Rubiera dell’Emilia e Bagnoli di Napoli. Da quel disastro (tutt’ora in atto, perché gli effetti letali della fibra dentro e fuori le fabbriche, continuano a produrre morti), però, Schmidheiny, dopo essere stato condannato in primo grado (16 anni) e in Appello (18), fu prosciolto, in modo definitivo in Cassazione che ha ritenuto prescritto il reato.
All’indomani di quel pronunciamento, la procura di Torino chiese un nuovo rinvio a giudizio per un diverso tipo di reato: omicidio doloso per 258 morti.
Secondo i difensori Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva, tuttavia, non è possibile celebrare questo processo perché si incapperebbe nella violazione del «ne bis in idem», in quanto ripropone gli stessi fatti del precedente procedimento di disastro . I pm Guariniello e Colace replicano che non c’è sovrapposizione perché i reati sono diversi. E, in più, viene evocata la sentenza di Cassazione del novembre scorso in cui la prescrizione fu motivata dal fatto che le morti non potevano rientrare nella «fattispecie del disastro», ma dovevano essere materia di un altro processo.
Processo che è stato promosso, ma che verrebbe stoppato dal «ne bis in idem»? E quali morti non si potrebbero contestare per non rischiare di violare i diritti di Schmidheiny sanciti dalla Carta europea (Cedu)? Qui si apre un altro grosso interrogativo: dei 258 casi di persone uccise dall’amianto indicati nel processo Eternit Bis, 187 sono nominativi che già comparivano nel processo di disastro doloso (prescritto). Ciò escluderebbe un altro giudizio a carico di Schmidheiny solo per quei 187 oppure anche per quelli sopravvenuti dopo (71) e, addirittura, per i 94 nuovi casi che, proprio in questi giorni, sono stati recapitati alla procura di Torino? E, magari, per quelli che ancora, purtroppo, ci saranno, a una media, solo a Casale, di una cinquantina di nuove diagnosi all’anno? Se prevalesse questa interpretazione, centinaia di vittime continuerebbero a vagare come fantasmi senza quiete in un limbo sospeso tra diritto e giustizia.
L’augurio, espresso dalle decine di casalesi che, ieri, nonostante la fiducia minata, erano comunque a Torino con i mantelli tricolore targati «Eternit Giustizia», è che, «qualora prevalga il “ne bis in idem” interpretato come stessa condotta, rimangano fuori da questa limitazione tutte le vittime non indicate nel precedente processo, perché l’omicidio è un’offesa al bene della vita di ogni specifica persona». E qui sono molte le persone offese nella vita che verrebbero sepolte dall’oblio.