Renzo Guolo, la Repubblica 25/7/2015, 25 luglio 2015
LA SVOLTA DELLA TURCHIA
La Turchia ridefinisce la gerarchia del Nemico. La decisione di concedere agli americani le basi di Incirlik e di Diyarbakir e di partecipare ai bombardamenti in territorio siriano contro l’Is muta lo scenario. Sin qui Ankara si era limitata a guardare da lontano, come accaduto durante l’assedio di Kobane, l’avanzata degli uomini in nero sino ai propri confini. Il nemico principale era Bashar al Assad, il figlio di Afez lo sterminatore di Hama, città siriana in cui nel 1982, l’artiglieria fece fuoco contro gli insorti sunniti guidati dai Fratelli Musulmani. Tanto che, per mettere in difficoltà il regime siriano i turchi avevano guardato transitare senza darsi troppo da fare i molti volontari jihadisti destinati a rafforzare i ranghi del Califfo autoproclamato. Incurante delle sollecitazioni che gli venivano in particolare dagli Stati Uniti — la Turchia è pur sempre un Paese Nato — e, dopo la virata califfale, da alcuni Paesi sunniti. In particolare quelli che dopo essere stati molto ambigui nei suoi confronti si sentivano ora minacciati dall’avanzata dell’Is: come l’Arabia Saudita alla quale il gigante turco disputa il ruolo di potenza d’area sunnita.
Ora, la svolta di Ankara. Erdogan si è reso conto che la posizione passiva, mirata a fare tracollare il regime alawita oltre confine, rischiava di produrre effetti indesiderati. A partire dalla rinascita della questione curda. Dall’impegno nella guerra contro l’Is i curdi, sia quelli turchi che quelli siriani, hanno ottenuto nuova visibilità politica e relazioni politiche, Non è un caso che la svolta anti-Is avvenga contestualmente alla recrudescenza della repressione contro l’opposizione curda. Certo, Ankara ha attaccato l’Is in risposta all’attentato suicida di Suruc, città curda ai confini siriani, che ha fatto 32 morti. Ma ha sfruttato le proteste dei partiti di opposizione curda, contrari all’attendismo di Erdogan, e gli attacchi contro le forze di polizia attribuiti al Pkk, per regolare i conti anche con le loro organizzazioni. L’aver ripreso l’inizativa oltre frontiera limita, inevitabilmente, anche l’influenza dei curdi siriani, aumentata dopo la liberazione di Kobane.
Insomma, cambiando scena, Erdogan sembra voler dire che per la Turchia i nemici sono due e non solo uno. Quanto a Assad, è momentaneamente passato in seconda fila. Anche l’intesa su una No-fly zone, lunga 90 chilometri e profonda tra i 40 e i 50, che dovrebbe essere istituita dalla Turchia su una fetta di territorio siriano vicino alla sua frontiera meridionale, non dispiace troppo a Damasco, che da tempo non controlla più quei territori, anche se non potrà farla sorvolare dalla propria aviazione. Ma la No-fly impedisce invece a gruppi islamisti radicali come Is e Al Nusra di espandersi ulteriormente nel nord della Siria.
Il leader turco sembra poi aver letto, meglio di altri, i mutamenti nella regione prodotti dall’accordo sul nucleare iraniano. Difficile che l’Iran lasci cadere proprio ora il suo fido alleato Assad. Può anche decidere di sostituirlo ma non per lasciare spazio all’asse sunnita. Di fronte alle incertezze della partita e premuta da tutte le parti, Ankara sembra, dunque, aver virato sul duplice Nemico possibile. In attesa di comprendere come evolverà l’intero quadro regionale. E cercando di frenare il sogno del grande Kurdistan e la regressiva utopia dello Stato Islamico che, come si è visto, a Suruc non conosce, e riconosce, confini.