Carmine Fotina, Il Sole 24 Ore 25/7/2015, 25 luglio 2015
CRONISTORIA DI INEFFICIENZE ALL’INSEGNA DELL’IN HOUSE
In questa brutta vicenda sulla giostra degli errori, a turno, ci sono saliti tutti, protagonisti e comprimari. Per questo sullo scandalo Atac, ripercorrendo l’escalation di disservizi delle ultime settimane (fino alla tragedia del bimbo morto alla metro Furio Camillo), non vale la pena concentrarsi su colpevoli e no. Piuttosto, numeri alla mano, è il caso di procedere semplicemente a un ripensamento serio dell’esperienza «in house» e a un repulisti in piena regola. Giunti a questo punto appare inevitabile procedere alla rimozione di amministratori e manager incompetenti o inefficienti, ai vertici o nei livelli intermedi. Bene ha fatto il sindaco Marino ad annunciare il cambio del consiglio di amministrazione e dei dirigenti responsabili, eppure la sensazione poco piacevole può essere quella di aver chiuso la stalla a buoi ormai scappati. Sono passati solo pochi giorni da quando lo stesso Marino commentava come un successo straordinario l’accordo sulla produttività raggiunto con Cgil, Cisl e Uil dopo la prima ondata di sciopero bianco. Ma il problema, a uno sguardo attento, è l’incrostazione accumulatasi negli anni. Si dibatte di un’azienda di trasporti che si trascina debiti tra 1,4 e 1,6 miliardi, all’incirca lo 0,1% del Pil, in pratica il “tesoretto” che Renzi, prima della sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni, avrebbe voluto utilizzare per misure sociali. Un’azienda i cui macchinisti guidano per 736 ore annue, a fronte delle 850 di Napoli e le 1.200 di Milano (divario che il nuovo accordo, si spera, dovrebbe ridurre). Di fronte a queste e ad altre cifre, ipotizzare l’ingresso di partner privati prima della scadenza naturale dell’in house prevista nel 2019 è ineludibile.
La cronistoria dell’inefficienza ha radici lontane. Dopo la gara per il secondo gestore dell’epoca Rutelli, nel 2003 con Veltroni si scelse il rinnovo dell’in house. Da allora, passando per la “parentopoli” e la riunificazione delle aziende dei trasporti dell’era Alemanno, la discesa è stata continua e inarrestabile.
Nessuno s’illude, per carità, di trovare in un lampo investitori industriali disposti a buttarsi in questa avventura senza prima un robusto risanamento. Per questo, i 500 milioni preannunciati ieri, tra crediti vantati con la Regione e ricapitalizzazione del Campidoglio, servono subito. Potrebbero non bastare, e anche questo è un dato, ma dare un’immediata sterzata in vista del risanamento e della parziale privatizzazione è il minimo che si può chiedere dopo gli episodi rimbalzati sui media di mezzo mondo a mo’ di pubblico ludibrio.