Nino Sunseri, Libero 26/07/2015, 26 luglio 2015
ELKANN SCALA L’ECONOMIST, PAURA AL
CORRIERE –
Forse non è il “Corriere della Sera” il principale obiettivo di John Elkann nel mondo della carta stampata. Ieri , infatti, dal quartier generale del gruppo Exor è arrivata la notizia di un interessamento per l’”Economist”, il più famoso settimanale di politica ed economia del mondo.La comunicazione giunge dopo che, per tutta la giornata si erano inseguite le indiscrezioni provenienti da Londra. L’operazione è conseguenza diretta del disimpegno della famiglia Pearson che giovedì ha incassato 1,3 miliardi dalla vendita “Financial Times” ai giapponesi di Nikkey International. La dinastia britannica aveva tenuto il 50% dell’”Economist” con l’intenzione, evidentemente di procedere ad una valorizzazione separata. La tempestività dell’offerta arrivata da Torino lascia immaginare che la proposta fosse già sul tappeto. Gli italiani sono pronti a spendere 400 milioni di sterline (oltre 550 milioni di euro) per acquistare una quota che consenta di allargare la partecipazione per il momento ferma al 5%. Escluso però che acquistino tutte le azioni messe in vendita arrivando alla maggioranza assoluta. Una soluzione che potrebbe compromettere l’indipendenza del giornale. Gli eredi di casa Agnelli si adeguerebbero alle altre famiglie blasonate come Schroeder, Cadbury e Rothschild già oggi socie della casa editrice. Visto il valore dell’investimento però diventerebbero gli azionisti di riferimento. Che il settimanale britannico fosse nel cuore di Elkann era noto da tempo. Nella lettera agli azionisti del 13 aprile aveva reso esplicita la passione. Aveva scritto: «I giornali sono in un momento delicato e devono saper integrare le vecchie pubblicazioni con i new media, come ha fatto l’Economist». Aveva definito il settimanale una vera istituzione del giornalismo fin dai tempi in cui fu fondato nel 1843. «Di recente -ha aggiunto- ha accelerato la transizione verso un modello che integra la stampa, il digitale e servizi innovativi». L’amministratore delegato Chris Stibbs e il direttore John Micklethwait, insieme ai colleghi, hanno usato ll’innovazione «per portare la voce inconfondibile dell’Economist nel mondo digitale e in quello, sempre più rilevante, del mobile, in modo originale e accattivante». Una dichiarazione d’amore più che una fredda comunicazione agli azionisti. Una conferma che la vera passione di John sono i media. A confortarlo lo stato di salute assolutamente invidiabile dell’Economist”: 1,6 milioni di copie (inclusi 164 mila abbonati digitali) , 40 milioni di pagine viste sul web, con 13 milioni di visitatori unici. Inutile dire che l’investimento a Londra sposta gli interessi di John e della sua famiglia. La nascita di Fca ha messo la dinastia in un’ottica globale e, nonostante i ripetuti attestati d’affetto verso l’Italia è abbastanza naturale che le stratgie siano altre. Fra l’altro non va dimenticato che John è consigliere d’amministrazione nelle società di Murdoch e questo accentua l’internazionalità del suo orizzonte. Che cosa accadrà adesso al “Corriere della Sera”? Difficile che da Torino mettano altri soldi in un’azienda dove non comandano pur essendo primi azionisti con il 18%. Il blocco formato dagli altri grandi soci (a cominciare da Diego Della Valle e dal presidente di Banca Intesa, Giovanni Bazoli) è riuscito, fin qui, a limitarne l’influenza. Non a caso c’è voluto un anno per scegliere il successore di Ferruccio De Bortoli e, alla fine, la scelta è caduta sul suo vice. Una decisione, evidentemente frutto di un faticoso compromesso. Ora il consiglio d’amministrazione Rcs si trova al bivio. Da una parte l’amministratore delegato Scott Jovane che insiste sulla strada tracciata: vendita di Rcs Libri alla Mondadori per 140 milioni e nuovi tagli che, ovviamente, colpirebbero il personale. Il presidente Costa e altri consiglieri, invece, provano ad esplorare percorsi diversi. In buona sostanza vorrebbero che i soci versassero ancora duecento milioni per completare l’aumento di capitale. Una proposta impervia se non accompagnata da un piano industriale di estremo rigore. Rcs, infatti, ha i conti in rosso e il debito è risalito a 507 milioni. Ora che ha l’”Economist” nel mirino sarà difficile convincere John a tirar fuori i 36 miliardi che servono per sottoscrivere la quota di Exor nell’aumento di capitale.