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 2015  luglio 26 Domenica calendario

VIAGRA, HASHISH E ANTIDOLORIFICI. COSÌ SI SOPRAVVIVE AD HAMAS

Impegnati tutto il giorno a fermarti ai check-point, e accertarsi che l’uomo alla guida sia tuo padre o tuo marito, paladini della moralità, i tipi di Hamas hanno dimenticato come si corteggia una signora. Offrirle questa sorta di Viagra in polvere non è la migliore delle strategie. E neppure uno solo: due. Devo sembrargli un caso disperato. Questo trentenne che mi è stato affibbiato da Hamas insieme all’autorizzazione a entrare a Gaza, e che non mi lascia sola un minuto, ufficialmente a tutela della mia sicurezza, ha un compito preciso: non farmi vedere niente. A parte i crimini di Israele, ovviamente. E l’indifferenza, l’inefficienza della comunità internazionale. Gli sprechi dell’Onu. A parte il giro turistico tra sfollati, e macerie e mutilati. Non posso parlare con nessuno. E anche i palestinesi che conosco, mi liquidano rapidi: si sente, hanno paura – poi mi scrivono una mail: quando vai via, ti chiamo e ti dico tutto. Che per telefono parliamo tranquilli.
Mi fermano per 3 ore, alla frontiera, perché ho una bottiglia d’acqua, in borsa, ed è Ramadan: il tipo invece mi accompagna a casa, si stappa una birra e si accende una sigaretta. E la sera, prima di cena, come tanti, si fa di Tramadol, un antidolorifico per cani che a Gaza, in mancanza di meglio, è usato come una specie di ecstasy. Ed è vietato. Hamas, se te lo trova addosso, ti arresta. Ed è il vero simbolo di Gaza. Più dei tunnel. Perché ti stordisce, non ti fa sballare. Ti fa dimenticare. Perché Hamas, prima ancora che indignarti, ti fa tristezza.
È arrivata al potere nel 2006 con elezioni regolari e democratiche e, se americani ed europei non avessero risposto con le sanzioni, e il blocco degli aiuti, con l’isolamento, le cose sarebbero andate diversamente. Ma oggi, intanto, Hamas è questo: un regime. Non è che i palestinesi, all’improvviso, volessero la sharia: Hamas vinse perché aveva già vinto a livello locale, governava già molte municipalità, e aveva dato prova di onestà e trasparenza. Appariva rigorosa. L’opposto dalla ormai marcia Fatah. La sua icona non erano i razzi, ma Ismail Haniyeh, premier che abitava nel campo profughi di al-Shati. E abita ancora lì, tra le macerie, con l’umiltà di sempre: solo che intanto ha intestato al genero una casa sul mare a Rimal, l’area più bella di Gaza. 2.500 metri quadri con giardino. 4 milioni di dollari. Da buon padre, ha comprato una casa a ognuno dei figli. Che sono 13.
L’assedio è stato così feroce che gli israeliani a un certo punto calcolavano le calorie quotidiane necessarie a mantenere i palestinesi sul filo della sopravvivenza fisica: 2.279 a testa: e non lasciavano entrare un grammo di cibo in più. A Gaza, senza i tunnel, sarebbero morti tutti.
“Ma l’assedio, oltre che un crimine, è sempre stato anche un gigantesco affare”, dice Ebaa Rezeq, una delle ricercatrici locali di Amnesty International. Perché i tunnel, che sono stati distrutti quasi tutti, ormai, erano centinaia. E definirlo contrabbando è fuorviante. I tunnel erano regolamentati da una commissione di controllo, in parte gestiti in proprio, in parte appaltati a terzi. Ognuno, in media, rendeva 100mila dollari al mese. “Ora, invece, tutto arriva con regolari importazioni da Israele. Monopolizzate, ovviamente, dai soliti imprenditori vicini ad Hamas”. Perché questa, oggi, è Gaza. Fuoristrada dai vetri blindati, o carretti trainati da asini. Il 70% dei palestinesi vive di aiuti umanitari. Manca il 30% dei farmaci classificati come essenziali. Poi, però, trovi tre tipi di Viagra. E hashish. Che anche quello, poi – se te lo trovano addosso – ti arrestano.
L’obiettivo di Hamas è rimanere al potere. Nient’altro. Non governa. Considerato che l’istruzione e la sanità sono a carico dell’Unrwa, l’agenzia Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi, che a Gaza sono l’80% della popolazione, e considerato che poi, appunto, vivono quasi tutti di aiuti umanitari, Hamas dedica ogni sua energia a reprimere non tanto ogni forma di dissenso, dal momento che non esiste più alcuna attività politica, qui: dedica ogni sua energia a reprimere ogni forma di vita.
I suoi informatori sono ovunque – d’altra parte: è una delle poche opportunità di lavoro a disposizione. Controllano che tu non beva. Che ti vesta in modo appropriato. Controllano cose che neppure noti: ma per esempio, una ragazza, qui, non va in bici. E il sesso fuori dal matrimonio, naturalmente: che è l’ossessione di Hamas. Vietato anche uno scambio accidentale di sguardi. Tutte regole non scritte, perché poi, in realtà, non è in vigore né la sharia né niente, qui: solo la volontà di Hamas.
C’è il codice penale, quello di sempre: ma c’è anche un sistema parallelo, e del tutto informale, di arresti, punizioni, sparizioni. Compaiono all’improvviso. Le perquisizioni, gli avvertimenti, i fermi sono quotidiani. E anche qui: selettivi. “Hai l’aria stanca”, mi dice un pomeriggio il mio guardiano. “Lavori troppo. Un paio d’ore in spiaggia, e torni come nuova”, mi dice spingendomi fuori. “Ti aspetto qui”. E usa il mio appartamento per incontrare un’amica sposata.
L’obiettivo di Hamas sembra coincidere con quello di Israele. Per cui Hamas “è il migliore degli alleati”, dice Ebaa Rezeq. Perché anche i negoziati di pace, intanto, sono fermi. L’unica cosa che progredisce, qui, sono gli insediamenti. Occupano ormai il 40% di quello che dovrebbe essere il futuro stato palestinese – e che è già, di per sé, solo il 22% di quello che avrebbe dovuto essere secondo il piano dell’Onu del 1948.
A Gaza Hamas non ha più il minimo consenso. Ha consenso nella West Bank, in cui ancora è vista come un’alternativa a Fatah. Come il bastione della resistenza. Ma qui che hanno sperimentato i risultati ottenuti dai razzi, e cioè un assedio, tre guerre, e più morti che nell’intera seconda Intifada, con l’Onu che stima siano necessari trent’anni perché Gaza torni come prima, e cioè perché la sua popolazione torni a essere per il 70% sotto la soglia di povertà – qui nessuno sostiene Hamas. I palestinesi vogliono solo andar via. Tutti. L’ostacolo, però, non è tanto il visto per l’Europa. L’ostacolo è l’Egitto. Raggiungere l’aeroporto del Cairo. Nel 2015, il confine di Rafah è stato aperto per 12 giorni. La lista d’attesa lunghissima. E hanno priorità i malati. Ma al solito – 3mila dollari sottobanco e un poliziotto viene a chiamarti per nome. Persino Hamas, qui, è stanca di Hamas. Persino i suoi miliziani vogliono andar via: stanno tutto il tempo a chiederti aiuto per un visto per l’Italia. Anche se guadagnano molto di più di quello che potrebbero mai guadagnare da noi: dai giornalisti stranieri incassano 350 dollari al giorno – quanto uno stipendio mensile. Dollari che poi non sanno come spendere. Se non in Tramadol. Per dimenticare.
Francesca Borri, il Fatto Quotidiano 26/7/2015