Gigi Garanzini, La Stampa 26/7/2015, 26 luglio 2015
CALCIO, L’ITALIA ALLA RICERCA DELLA NOBILTÀ PERDUTA
Una notizia buona e una cattiva. La cattiva è che al Mondiale di Russia 2018 andrà di sicuro soltanto la prima classificata di ciascun girone eliminatorio, e l’Italia si ritroverà tra i piedi la Spagna. La buona è che le altre rivali si chiamano, in ordine alfabetico, Albania, Israele, Liechtenstein e Macedonia, e il secondo posto che dà diritto se non altro a uno spareggio non dovrebbe essere un problema.
E’ un altro, il problema. E’ che con i quarti di nobiltà di quattro titoli mondiali in bacheca, il calcio italiano continua a sentirsi testa di serie. Invece non lo è più, non lo siamo più, perché i due consecutivi disastri in Sudafrica e in Brasile non sono passati invano.
L’Italia di oggi, che tra parentesi non sfigura mai ma nemmeno vince una partita da otto mesi, è al 17° posto del ranking Fifa: dietro persino a Romania e Galles che quella qualifica di testa di serie ci hanno per l’appunto scippato. Questo, non altro, ancor ci offende. Non il doversela giocare con la Spagna perché la si può anche battere, in quanto a sua volta nobile in decadenza se non già decaduta. Ma l’essere costretti ad accettare che dell’Europa che conta non facciamo più parte, che il sangue blu di Zoff e Gigi Riva, di Rivera, Tardelli e Paolo Rossi, di Buffon, Pirlo, Cannavaro si è annacquato. E nemmeno san Gennaro, così su due piedi, riuscirebbe a fare ’o miracolo.
Poi c’è chi sta peggio. Basti pensare al Brasile, a quel tremendo 1-7 di un anno fa a Belo Horizonte da cui chissà quando riuscirà a riprendersi. All’Inghilterra che il calcio lo ha inventato, anche se da decenni ormai non si direbbe. Ma se c’è un mondo in cui il mal comune mezzo gaudio davvero non funziona, è quello del pallone.
E sì che nell’ultima stagione qualcosa si è mosso in ambito di club. Grazie alla Juve il nostro calcio è tornato a giocarsi una finale di coppa Campioni, grazie a Fiorentina e Napoli, ma anche a Torino e Inter ha fatto in Europa League molta più strada rispetto al passato. L’andamento stesso del mercato dimostra che le squadre di casa nostra stanno provando a tornare competitive: ma se dai colori sociali passiamo all’azzurro la percezione cromatica non è incoraggiante. Se non dell’azzurro tenebra del grande Giovanni Arpino, siamo comunque nei paraggi di un azzurro stinto.
E non c’entra Conte, che sta facendo il possibile. Come non c’entrerà, ragionevolmente, nelle vicende di questo girone mondiale su cui oggi si riflette, perché il suo mandato arriva sino all’Europeo 2016 e la sua vocazione è un’altra. C’entra questo calcio globalizzato in cui per una società che riscopre, finalmente, la vocazione autoctona come nel caso del Torino, con i Baselli, i Benassi, gli Zappacosta, ce ne sono altre, troppe altre che i talenti veri o potenziali che siano li sacrificano sull’altare della plusvalenza. C’è stato un tempo in cui su un difensore cresciuto in casa come Romagnoli si sarebbe costruito un reparto decennale: oggi lo si monetizza, casomai ci fossero in giro degli Ibarbo o dei Doumbia da non lasciarsi scappare.
Gigi Garanzini, La Stampa 26/7/2015