Gianni Mura, la Repubblica 26/7/2015, 26 luglio 2015
QUINTANA SI SVEGLIA TARDI FROOME SALVO COL BRIVIDO SULL’ALPE D’HUEZ È UMANO OGGI FESTA IN GIALLO A PARIGI
ALPE D’HUEZ.
Mancano 7 km al traguardo quando Quintana decide che è venuto il momento di dimostrare quanto vale, cioè parecchio. E da questo momento in poi le domande sono due. Una se la fanno i francesi: riuscirà Quintana a raggiungere Pinot e a negargli la vittoria? Una se la fanno i francesi ma anche tutti gli altri, tranne gli olandesi ubriachi: riuscirà Quintana a mangiare a Froome i 158 secondi che li separano? La risposta è una sola: no. Se si vuole allungare il telegramma: partito troppo tardi. Forse non ieri, ma nell’arco di tutto il Tour sì. Non tanto lui, che aveva stradetto che avrebbe aspettato le Alpi, quanto la sua squadra, che s’è rassegnata con largo anticipo alla presunta imbattibilità di Froome salvo poi scoprire, troppo tardi appunto, che così non era.
Gli ha mangiato più di metà vantaggio, 86 secondi, e perde il Tour per 1’12”. «Non ho niente da rimproverarmi. Pago quel minuto e mezzo perso al nord, per colpa dei ventagli. Quello che ho lasciato sui Pirenei l’ho ripreso sulle Alpi. Non è che tutte le salite siano buone per attaccare, serve il terreno adatto. Qui c’era. Sono contento lo stesso, facciamo secondo e terzo io e Valverde, non ho rimpianti». Al suo posto ne avrei: in un Tour quasi senza cronometro e con tante salite poteva giocare meglio le sue carte. Il futuro è suo.
Lo dice anche Froome che il futuro, non immediato, è di Quintana. «Sarà un bel match, tra un anno. Nairo è un corridore che mi piace, molto aggressivo ma anche molto corretto ». È un riferimento a Nibali? Vi siete chiariti? «Non ci siamo parlati, non c’era nulla da chiarire, per me il capitolo è chiuso, quello che dovevo dire l’ho detto. Posso aggiungere che per me conta il rispetto: non si attacca una maglia gialla su caduta, o incidente meccanico, o se si ferma per necessità fisiologiche. Non è scritto su nessun regolamento, ma io non lo farei». Neanch’io, ma la storia del ciclismo è ricca di imboscate. E poi: perché solo la maglia gialla? Se cade il secondo o il quarto in classifica si tira dritto? Sono domande che non pongo. Questa è l’ultima conferenza-stampa di Froome e sembra, ai microfoni, più sincero, così com’era parso più umano, prima, lungo la salita all’Alpe. Basta dire Alpe, specificare d’Huez è superfluo. Sarebbe sbagliato dire che non mi piace, questa salita. Sarebbe un eufemismo. Non la sopporto proprio, mi è antipatica, sono allergico e quando viene reso pubblico il percorso del Tour spero sempre di non trovarmela tra i piedi. Ho fondate speranze per il 2016. È spettacolare, lo so, ci hanno vinto grandi campioni, lo so. La battezzò Coppi nel 1952, era il primo arrivo in salita nella storia del Tour. Ma lungo i suoi famosi 21 tornanti, 13,8 km con l’8,1% di pendenza media, si danno appuntamento i più scatenati imbecilli del vecchio continente. E i commentatori in tv: che bello, sembra un tifo da stadio. Forse, però è una gara di ciclismo e ai corridori viene lasciato solo uno stretto tunnel mobile dove imbucarsi a loro rischio, a centro strada. Succede anche altrove, ma con minore partecipazione di imbecilli e ubriachi. Questo avrei voluto opporre a Froome, rispetto per tutti, ma il luogo non era dei più indicati.
La corsa, anzi la corsa nella corsa comincia subito al via, quando Geniez lancia una fuga di 10 corridori che poi, sull’Alpe, saranno via via raggiunti dalle prime firme, ma intanto lavorano per i compagni. Geniez per Pinot, il colombiano Anacona per Quintana, che dopo qualche stoccatina alternata a quelle di Valverde saluta la compagnia e dà il via al grande numero, cui assegno come sottofondo musicale “Che vuoi che sia se t’ho aspettato tanto”, Mia Martini. La sfortuna di Nibali, che sembrava in discreta giornata dopo gli sforzi vittoriosi del giorno prima, è di forare la gomma posteriore proprio mentre cominciano le grandi manovre. Sulle prime si ribella, rimonta, contiene lo svantaggio, poi s’accorge che sta recuperando corridori stanchissimi (tra cui Contador) che non gli daranno una mano, non per cattiva volontà ma perché non possono, e a quel punto si rassegna, va su regolare, quarto era e quarto resta. Solo lui e Froome, dei primi 5, hanno vinto una tappa, ed è un dato che la dice lunga su quanto sia stata praticata la corsa di sorveglianza.
Thibaut Pinot, come Nibali, più di Nibali era uscito malconcio dalla prima settimana. Dopo aver visto la bruttissima caduta di Bonnet, suo compagno di camera e amico, gli si era rotto qualcosa dentro. Il Tour è un grande circo, troppo grande, diceva Pinot. Mi mette a disagio, troppo stress. Terzo sul podio a Parigi, tagliato fuori da tutto, anche lui si è ribellato. Come Bardet, il pollo di Mende che si trasforma in aquila. L’altro pollo di Mende era Pinot. Anche lui, ieri, s’è fatto aquila lungo i tornanti dell’Alpe d’Huez. S’è sbarazzato di Hesjedal, ha resistito al ritorno di Quintana e ha vinto bene, quarto dei francesi a vincere quassù in 63 anni dopo Hinault, Rolland e Riblon. La Francia sta crescendo corridori giovani e coraggiosi, forse con la tendenza a distrarsi, sul filo dei giorni, e questo al Tour, a maggior ragione in un Tour così esigente e nervoso, non te lo puoi permettere. Però riescono a pensare in grande e fare grandi imprese.
Torniamo su Froome. Comportamento degli spettatori? «Un 5% ha esagerato, gli altri tutti bravi». È parso malaticcio, in sella. «Un po’ di bronchite, come tanti in gruppo. Niente di speciale». Ha avuto paura di perdere il Tour? «Sì, ma ho cercato di non perdere la testa. Senza i miei compagni forse non mi sarei salvato, mi hanno incoraggiato anche quando mi sentivo morto, devo ringraziare Poels e soprattutto Richie Porte, che è stato con me fino all’ultimo, ha dato tutto per me, è un vero amico e sarò molto triste quando andrà via (ndr: all’Orica, si dice). Davvero non so se mi merito compagni così». Sull’Equipe l’ex ds di Froome, Corti, dice che non si sarebbe mai aspettato da Froome prestazioni alla Pantani. «Non mi piace essere paragonato a corridori che avevano un altro modo di fare ciclismo». Più difficile vincere nel ‘15 o nel ‘13? «Più difficile questo, la tappa mi è sembrata lunga 300 km, Quintana è stato un grande avversario. Non so dove ho trovato le energie per resistergli». Oltre il traguardo, controllate le bici di Froome, Quintana, Pinot, Valverde e Contador.
Gianni Mura, la Repubblica 26/7/2015