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 2015  luglio 25 Sabato calendario

Scaltro lo è di sicuro, glielo riconoscono anche i nemici. Aveva meno di vent’anni quando, commerciando carne non proprio in regola con i paesi oltre cortina, aveva stipulato il primo dei suoi patti luciferini

Scaltro lo è di sicuro, glielo riconoscono anche i nemici. Aveva meno di vent’anni quando, commerciando carne non proprio in regola con i paesi oltre cortina, aveva stipulato il primo dei suoi patti luciferini. Questa volta con i doganieri, che chiudevano un occhio e forse tutti e due. Di notte il giovane Denis saliva sul Tir a mettere i timbri sui quarti di manzo jugoslavi trasformandoli in italiani. Reato caduto in prescrizione, forse per questo lo stesso Verdini se ne vanta nelle cene con gli amici. Ma la vera abilità di Verdini - oltre a collezionare rinvii a giudizio (con ieri siamo al quinto) - risiede nella stupefacente facilità con cui, dal nulla, ha scalato la piramide politica e sociale, piolo dopo piolo, lasciando dietro di sé una lunga lista di ex amici che si erano fidati di lui. Un’abilità a cui sembra averlo allenato la moglie, Simonetta Fossombroni, conosciuta da Giovanni Spadolini e da questi nominata nella segreteria della sua Fondazione a Pian dei Giullari. Verdini ama raccontare di Spadolini come il suo maestro e mentore. In realtà al grande repubblicano lo presentò la moglie Simonetta. Come nell’alleanza tra Claire e Frank Underwood di House of card, lei rimane sempre dietro le quinte e lascia crescere il marito. Quando Spadolini la piazza nella segreteria di un ministro repubblicano, in rapporti stretti con un giornalista di belle speranze, tal Luigi Bisignani, la signora Fossombroni capisce subito le potezialità di quel giovane e la sua smisurata conoscenza del sottobosco politico romano. Così, alla prima occasione in cui il marito la viene a trovare a Roma, Fossombroni organizza una cena con Bisignani come unico invitato. Che da allora non cesserà più i rapporti con Verdini, aprendogli tutte le porte della Roma che conta. E sempre la bella Simonetta è l’artefice dell’altro incontro che segnerà la definitiva ascesa di Verdini nell’olimpo berlusconiano, quello con Giuliano Ferrara. È il 1997 e il direttore del Foglio accetta la «candidatura pazza» contro Antonio Di Pietro nel collegio rosso del Mugello. Non ha speranze ovviamente, ma la Fossombroni presenta a Ferrara il marito. Che per un mese e mezzo finanzierà con cene e alberghi la campagna dell’amico «Giuliano ». A quel punto per Denis è quasi fatta, se non fosse che il coordinatore regionale forzista, Roberto Tortoli, di quel Verdini non vuole sentir parlare. Nei circoli forzisti dal ‘94 lo chiamano infatti “Perdini”, per aver speso un mucchio di soldi e non essere mai riuscito a farsi eleggere. Una nomea molto distante dal mito della volpe invincibile che portò ai successi più alti il Pdl, il «mago dei numeri» come dicevano i giornali. A quel tempo invece Verdini-Perdini era solo un ricco aspirante politico. C’aveva già provato nel ‘94 ad entrare in parlamento con il patto Segni, ma senza sfondare nonostante la ricca campagna elettorale. In quello stesso anno finanziò prudentemente anche la campagna di Umberto Cecchi in Forza Italia, rivelando così un tratto che sempre lo accompagnerà: lasciarsi sempre aperta, una via d’uscita. A costo di allearsi con il nemico. Così Cecchi diventò deputato e l’anno dopo si sdebitò piazzando Verdini nel listino forzista della regione Toscana. Trattando per sé con la sinistra, Verdini diventò subito vicepresidente fregando il legittimo candidato ufficiale. Poteva accontentarsi? No, infatti iniziò subito a ingraziarsi l’allora presidente del Senato, Marcello Pera, per convincerlo a farsi nominare da Berlusconi coordinatore regionale della Toscana. Di piolo in piolo ormai Denis pensa in grande, la Toscana gli sta stretta. Certo, coltiva intensi rapporti anche con il Pds locale e con il mondo delle coop rosse. Ma è Roma che vuole. E l’occasione gli si presenta quando il mite Sandro Bondi diventa coordinatore nazionale del partito. Grazie a Ferrara e Pera, grazie alla comune nascita a Fivizzano, Verdini convince Bondi a portarselo con sè come “consigliere politico”. E molti giornalisti ancora ricordano le telefonate di Verdini (allora era lui a chiamare, mentre oggi non risponde a nessuno) che implorava un po’ di spazio per il suo capo sui giornali. Verdini di Bondi è l’ombra. Alla Camera siede accanto a lui, vota per lui quando è assente. Tanto da farsi espellere dall’aula da Pier Ferdinando Casini. Con Bondi Denis è avvolgente, materno. Lo convince a dividere in due la sua stanza, piazzando se stesso nell’anticamera: «È per proteggerti, fidati. Ti filtro tutte le persone sgradite». Ma filtro dopo filtro con le persone parla solo Denis, Bondi sembra scomparso. Finché un giorno il coordinatore viene nominato ministro. E lo stesso giorno Denis chiama i muratori per abbattare quel maledetto tramezzo e impadronirsi di tutta la stanza. Quando, qualche tempo dopo, il ministro Bondi tornerà a via dell’Umiltà nel suo vecchio ufficio, lo troverà occupato dal «caro» Denis. Con i suoi effetti personali chiusi in due scatoloni nel corridoio. Da sempre in rapporto con Renzi, Verdini dopo il patto del Nazareno sogna adesso di diventare consigliere del nuovo Principe. Il segretario del Pd se ne serve ma lo tiene a distanza. Anche per i processi che si accumulano: crac Ccf (bancarotta, truffa e false fatture), P3 (corruzione), compravendita di un palazzo (finanziamento illecito) appalti alla scuola Marescialli (corruzione). Ma la vecchia volpe è ancora convinta di essere indispensabile.