Donatella Bogo, Sette 24/7/2015, 24 luglio 2015
PORTOGALLO, IL PREZZO DELL’AUSTERITY
Il salvataggio del Paese, per consentirne la permanenza in Europa, e la conseguente politica di austerità che ha dominato negli ultimi anni hanno riportato la qualità di vita dei portoghesi indietro di un quarto di secolo. È la conclusione di un recente studio condotto dall’economista Augusto Mateus sulle condizioni di vita dei cittadini e pubblicato con il titolo “Tre decadi del Portogallo in Europa: bilancio e prospettive”. I risultati evidenziano che il livello di benessere, che tra il 2005 e il 2009 si era avvicinato agli standard europei, è ora tornato ai livelli del 1990 ed è del 25 per cento inferiore alla media degli altri Paesi Ue, mentre il Pil pro capite è diminuito del 7 per cento, sempre rispetto agli altri Stati europei. Colpa della crisi generalizzata, peggiorata dagli effetti della politica di austerity imposta dalla Troika nel 2011 e messa in atto dal governo a partire dal 2013. Da allora a oggi, vale a dire negli ultimi quattro anni, l’incremento generale delle tasse è stato dell’11 per cento, il più alto tra tutti i Paesi della Comunità. Ma un altro dato, conseguente al primo, messo in risalto dallo studio di Mateus riguarda l’emigrazione: il Portogallo è il Paese membro con il maggior numero percentuale di cittadini che vivono stabilmente in un’altra nazione dell’Unione. Non solo: è il sesto Paese al mondo per numero di emigranti. La ricerca approfondisce l’argomento andando indietro nel tempo, fino al 1986, quando il Portogallo aderì alla allora Comunità economica europea. Da quell’anno, sono 5 milioni i portoghesi che vivono stabilmente all’estero mentre solo nell’ultimo periodo altri due milioni hanno acquistato un biglietto di sola andata per un Paese straniero.