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 2015  luglio 24 Venerdì calendario

CENTENARI SI DIVENTA A TAVOLA. E CON LA DIETA

MIMA-DIGIUNO C’È CHI SCOMMETTE SU DIECI ANNI IN PIÙ DI BELLA VITA –
Il record della vita più lunga è di una signora francese, Jeanne Calment di Arles arrivata a 122 anni e 164 giorni. Se guardiamo le statistiche dei cento più longevi accertati e vissuti tra Europa, Americhe e Giappone scopriamo che la maggior parte (quasi il 70 per cento) conquista i 114 anni e tutti gli altri uno o due anni di più. Ma c’è un limite alla longevità ? Questi numeri sono barriere invalicabili imposte dalla natura ? «Un limite vero non esiste. Non mi stupirei se fra cinquant’anni la vita media fosse intorno ai cento anni. I 120 anni sono la meta possibile, raggiungibile. Già ora il numero dei centenari sta crescendo con grande velocità». Valter Longo pronuncia queste parole con la normalità dello scienziato che ragiona sui fatti. Alla University of Southern of California, oltre a insegnare biogerontologia, dirige l’Istituto della longevità e da più di vent’anni indaga nei segreti della cellula e degli organismi per scoprire come rallentare l’invecchiamento e vivere più sani. Ora conduce le sue ricerche tra Los Angeles e l’Istituto di oncologia molecolare di Milano (Ifom) dove dirige un gruppo specializzato su longevità e cancro.
Prima di tutto Longo ama ricordare un dato diffuso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: le cause maggiori delle malattie croniche sono note e se eliminiamo i fattori di rischio si riduce almeno dell’80 per cento ogni tipo di malattia cardiaca, infarti, due tipi di diabete e oltre il 40 per cento delle forme di tumore. Intervenendo su questo fronte significa quindi non solo prevenire o curare ma anche favorire un allungamento della vita media e sana.
Ma come fare? «Prima bisogna capire le origini profonde dei problemi», spiega lo scienziato, «legate ai geni in modo da intervenire su quelli che regolano i meccanismi della longevità. Poi è necessario garantire al nostro organismo ciò di cui effettivamente ha bisogno, cioè adottare un’alimentazione adeguata».
Pur essendo l’allungamento della vita un’aspirazione che accompagna l’uomo da sempre, la scienza è stata in grado di affrontarlo seriamente e in profondità solo di recente, da una ventina d’anni, quando intorno al 1990 alcuni ricercatori nelle università americane della California e del Colorado, studiando degli organismi modello invertebrati, i vermi, scoprivano che intervenendo sui geni si poteva farli vivere più a lungo. Purtroppo non si riusciva ancora a capire quali fossero i geni responsabili e bisognerà aspettare sette anni perché all’Università di Harvard li identificassero.
Ma la via era aperta e su di essa si incamminava con successo Valter Longo quando a metà degli anni Novanta, dottorando all’università della California, dimostrava per la prima volta che il digiuno raddoppia la vita dei lieviti, semplici organismi unicellulari evoluti con noi, eliminando gli zuccheri e disattivando uno specifico gene.
In quegli anni una sorpresa arrivava pure dai topi: all’università dell’Illinois ci si rendeva conto che se avevano delle deficienze nell’ormone di crescita e in un fattore di crescita vivevano addirittura il 40 per cento in più.
«Alla fine degli anni Novanta», racconta Longo, «guardando gli aspetti che controllano l’invecchiamento nei lieviti, nei vermi ma anche su moscerini e cellule umane mi rendevo conto che i geni capaci di gestire la longevità sono simili, dai microorganismi all’uomo».
La visione diventava sempre più ricca e variegata mentre le indagini si estendevano ad altri organismi: dai moscerini della frutta, ai pesci, alle scimmie, all’uomo.
«Oggi sappiamo», precisa Longo, «che ci sono tre principali set geni specifici che, se bloccati nelle loro funzioni, allungano la vita; ma ce n’è addirittura uno in particolare che potrebbe essere la chiave di tutto, il regista unico. È il GHR, un recettore dell’ormone della crescita che governa le azioni degli altri. Intervenendo su di lui potremmo avere i risultati cercati».
Ma intanto ci si è resi conto che la ricerca deve unire le forze su diversi fronti e, se la genetica aiuta a identificare i responsabili, è la biochimica che deve dimostrare il perché. Così oggi sotto l’ombrello della biogerontologia, che è la biologia dei processi di invecchiamento, si riuniscono specialisti di diversa estrazione.
L’università della Southern California in collaborazione con il Buck Institute nella California del Nord è la mecca di questo fronte appassionante con un gruppo di una cinquantina di scienziati, il maggiore a livello internazionale. Altri, ma tutti più piccoli, si trovano nelle università di San Antonio (Texas), Stanford, Harvard, Mit e in Europa al Max Planck Institute.
Mentre alcuni scienziati sono a caccia dei responsabili genetici, altri cercano invece di studiare sostanze in grado di neutralizzarli. Così sono emersi farmaci come il resveratrolo, una sostanza antiossidante rivenuta nella buccia di un acino d’uva, e la rapamicina, un prodotto batterico isolato la prima volta dal suolo dell’Isola di Pasqua. Ma la certezza sulla loro azione non è da tutti confermata.
Nei prossimi giorni Valter Longo partirà verso il sud dell’Ecuador per studiare le comunità rurali di Pinas e Loja, sulle Ande. La ricerca iniziata dieci anni offre prospettive interessanti perché qui ci sono circa cento individui con le stesse mutazioni di quelle che causano record di longevità e salute nei topi e nessuno di loro soffre di diabete o si ammala di cancro. La popolazione ha un segno distintivo: nelle mutazioni genetiche il fattore di crescita IGF-1 rimane sempre basso, causando nanismo ma al tempo stesso conferendo loro maggiore longevità. «Nelle nostre indagini dobbiamo, però, tener conto anche dei centenari. Se sono diventati tali devono poter insegnarci qualcosa», insiste Longo. «E l’approccio dello studio riguarda soprattutto l’alimentazione con basse proteine, tante verdure, poca carne».
La famiglia di Valter Longo, tra l’altro, ha origini calabresi, con radici proprio in uno dei paesi famosi per gli ultracentenari, Molochio, in provincia di Reggio Calabria. E qui Longo è tornato per studiare Salvatore Caruso, 109 anni. Poche altre regioni della Terra possono vantare record analoghi e quelle studiate a fondo sono la Sardegna, l’isola di Okinawa nel Pacifico mentre il Giappone vanta di ospitare quasi 40 mila ultracentenari. «Dovunque siano, i centenari», sottolinea Longo, «rivelano comportamenti e diete sostanzialmente simili anche se ci sono eccezioni probabilmente dovute a forti influenze genetiche».
Quanto la via dell’alimentazione sia determinante lo rivela proprio la ricerca dello scienziato italiano battezzato dalla rivista americana Time “Longevity Guru”, dimostrando che il “mangiare sano” deve essere legato alla scelta dei cibi di cui il nostro corpo ha bisogno e non solo per disporre delle energie necessarie.
Nel giugno scorso il gruppo diretto da Longo ha pubblicato sulla rivista Cell Metabolism i risultati di una ricerca pilota sull’uomo adottando la dieta mima-digiuno sperimentata prima sui lieviti in provetta e poi sui topi. E in tutti e tre i casi ha dimostrato la sua efficacia nel contrastare l’invecchiamento, rafforzare i vari sistemi tra cui quello immunitario e nervoso riducendo i rischi di varie malattie: cardiovascolari, diabete, obesità e cancro. La dieta a basso contenuto di proteine si protrae per cinque giorni e deve essere condotta sotto il controllo del medico che la deve adattare alle condizioni fisiche. Per la maggior parte delle persone è sufficiente praticarla ogni tre o sei mesi a seconda della circonferenza addominale e dello stato di salute. Per i soggetti a rischio più elevato si arriva anche ad una volta ogni due settimane.
«Poi il paziente può tornare alla sua alimentazione abituale», precisa Longo. «La ricerca ha dimostrato che in generale cinque giorni al mese di questo regime alimentare ha effetti rigenerativi e protettivi su tutto l’organismo che durano a lungo. Si tratta, infatti, di riprogrammare il corpo in modo tale da farlo entrare in una modalità di invecchiamento più lento, ma anche di ringiovanirlo attraverso una rigenerazione che si basa sulle cellule staminali».
Il metodo già anni fa aveva dimostrato efficacia pure in funzione anti-cancerogena, affamando le cellule tumorali, proteggendo il sistema immunitario e le cellule sane dagli effetti tossici della chemioterapia.
Nei test sui topi, inoltre, che hanno un’aspettativa di vita di due-tre anni si è riscontrato un prolungamento della loro esistenza dell’undici per cento. Per l’uomo è stimato invece in un decennio. Con valori aggiunti importanti: dal ringiovanimento del sistema immunitario, alla riduzione di malattie infiammatorie, dal rallentamento della perdita di minerali nelle ossa all’aumento delle cellule progenitrici e staminali nei vari organi compreso il cervello dove si si constatata la rigenerazione dei neuroni e un miglioramento dell’apprendimento e della memoria.
Una cosa è certa: la longevità e una vita sana passano attraverso i risultati della ricerca scientifica multidisciplinare rigorosa e non abbandonandosi al sogno di prodotti facilmente definiti “naturali” e che possono rivelarsi armi distruttive del nostro corpo e non fonte di benessere.