Aldo Nove, Sette 24/7/2015, 24 luglio 2015
VITA, SENZA SENSO, DEI FIGLI DI PAPÀ CINESI
C’è una foto che ha fatto il giro del mondo. Ritrae una bella ragazza. Cinese. È sdraiata su un letto. Davanti a sé ha tantissimi soldi. Il suo sguardo è vacuo e al contempo malizioso. In mano ha un fiammifero. Lo sta per accostare a una banconota. Altra immagine. Un volpino. Guarda innocente l’obiettivo. Probabilmente ripreso dal padrone, scodinzola felice. Non sa, non può sapere che sta catturando l’interesse di milioni di persone perché in ognuna delle zampe anteriori ha un costosissimo orologio d’oro. Ancora. Sempre una ragazza, sempre cinese, sdraiata su un letto lussuosissimo e sommersa dai gioielli. Per chiudere, l’immagine di una Ferrari rossa fiammante, ultimissimo modello, schiantata contro il muro. Per gioco. Tutte queste foto hanno in comune il fatto di essere espressione di una nuova realtà, quella dei miliardari cinesi di seconda generazione. Gente che i soldi non li ha fatti. Ma se li è ritrovati. Mai come in questo caso vale l’espressione “figli di papà”. Sembra siano una settantina. Ma probabilmente sono molti di più. Hanno tutti meno di trent’anni. Vengono chiamati fuerdai. Il valore pratico e simbolico dei soldi è uno degli snodi fondamentali della civiltà umana. Averli. Non averli. “Farli”. Adam Smith e Marx ci hanno insegnato che è dalla loro circolazione che si sviluppa l’economia. Max Weber ci ha illustrato come dal loro accumulo, in un legame molto stretto con i dogmi religiosi del protestantesimo, siano all’origine del nostro attuale (e collassante) sistema economico. Secoli prima, San Francesco ne demonizzava con una radicalità mai più raggiunta il possesso, fino a scatenare un dibattito sulla relazione tra fede e denaro che non ha mai avuto termine. Qualunque sia la posizione che vogliamo assumere a riguardo, o il contesto culturale a cui facciamo riferimento, resta il fatto che i soldi esprimono valore. Nel caso inedito dei fuerdai no. Sono semplicemente uno status primigenio. Che crea uno scarto tra loro e il resto del mondo. Resto del mondo che non viene percepito se non come qualcosa di anomalo. La loro condizione è quella della solitudine. Re e regine senza regni, vivono in consorterie chiuse, in club esclusivi dove il consumo immediato è l’unica prospettiva data. Il governo cinese, allarmato, ha predisposto un piano, sembra fallimentare, per la loro “rieducazione”. Senza nessun effetto. Un altro caso. Il giovane ricco di seconda generazione che si schianta con il suo modello di macchina extralusso. Lui muore. Le tre modelle nude che viaggiavano con lui restano solo lievemente ferite. Un grande filosofo parlava un paio di decenni fa di “passioni fredde”. In questi ragazzi non c’è invece nessuna passione. C’è piuttosto, anche se è amaro da accettare per l’indignazione che automaticamente generano, un’assoluta disperazione. Una mancanza d’amore assoluta. Non conoscono il mondo. Ne detengono vacuamente lo splendore. È l’arcaica distinzione tra forma e sostanza. Maneggiano la forma, ne sono i padroni. Ma sono ignari di qualunque sostanza. Sono soli. E se l’amore umano è ciò che ci spinge, dando un senso alla nostra vita, a vivere, la loro è priva d’amore. E di senso.